Jazz Agenda

Carlo Cammarella

Carlo Cammarella

Daniela Mastrandrea racconta Duo: “Una formazione essenziale aperta al dialogo”

Si intitola Duo l’ultimo album della pianista e compositrice Daniela Mastrandrea dedicato a Michele Paternoster, il contrabbassista con il quale lo ha inciso. Un lavoro per cui l’artista ha recuperato dieci brani scritti da adolescente per riadattarli a questo tipo di formazione. Ecco il racconto da Daniela Mastrandrea a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Un saluto a chi ci legge e grazie di cuore per l’invito. Duo è il sodalizio della nostra amicizia che si trasforma nel suo equivalente fisico. Da tanto tempo avevo desiderio di scrivere qualcosa per il contrabbasso ma non era ancora il momento. Certe cose le senti e quando arrivano non puoi farne a meno, soprattutto per chi ha un rapporto viscerale con la scrittura come me. Michele è stato come un diapason, mi ha dato il “la”, e chi mi conosce sa che quando parto non mi fermo.

Il duo è a nostro avviso un tipo di formazione essenziale. Quali sono le potenzialità che si possono sperimentare?

Il duo è certamente un tipo di formazione essenziale, ma la musica è polifonica e questo permette di creare un linguaggio a più livelli, soprattutto se si ha a disposizione un pianoforte che può simulare un’orchestra. Ogni timbro ha le sue peculiarità e credo che sia proprio questo a caratterizzare e distinguere una determinata formazione da un’altra. Con Duo ho potuto giocare già in partitura alla fusione dei due timbri e al loro dialogo.

Ascolta il disco DUO su Spotify:

https://open.spotify.com/album/1VZx364f3jCD46sXsDISae

Inoltre, data l’assenza di una batteria o di uno strumento prettamente ritmico, cosa cambia nel vostro approccio?

La batteria non c’è ma è come se ci fosse: se si presta attenzione durante l’ascolto, a tratti pare di scorgerla. La musica è musica e il ritmo è ritmo; batteria o no, le due componenti non cambiano. (Piccolo spoiler: è previsto un remake dell’album in trio).

Nel disco abbiamo notato una certa commistione di linguaggi. La sperimentazione e le contaminazioni sono aspetti che fanno parte del vostro DNA?

I temi di Duo sono nati spontaneamente, come quando si fischietta qualcosa a cuor leggero: non c’è stato tempo né modo di sperimentare. Quando l’estate scorsa, grazie a Michele, ho avuto il desiderio di dare loro un’identità ben precisa, ho lavorato alle partiture seguendo solo e soltanto il gusto. Quando mi approccio all’atto compositivo ascolto il cuore e lascio che ogni nota sia una conseguenza spontanea della precedente.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Questo progetto è nato per caso l’estate scorsa. Stavo lavorando a quello che sarebbe stato il mio prossimo album, quando, in una delle mie chiacchierare con Michele, nel constatare il suo desiderio tangibile di creare qualcosa di bello con la musica, mi sono ricordata di questi temi scritti e accantonati tempo addietro. Ho pensato che sarebbe stato bello riprenderli e farne qualcosa di speciale insieme. Inoltre, da tempo avevo desiderio sia di un album jazz che di un album in duo pianoforte e contrabbasso (sono innamorata del disco Trasnoche di Enrico Pieranunzi e Marc Johnson). Non so cosa sarà in futuro, ma non escludo l’ipotesi di un altro album insieme.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Sicuramente io e Michele per quanto amici proveniamo da mondi diversi con storie diverse. Lui appassionato di jazz, io amante della musica classica, soprattutto quella tardo-romantica. Sicuramente, un artista che ci accomuna per il suo linguaggio è J.S.Bach, molto lontano nel tempo ma così attuale, soprattutto per chi ama il jazz. Se pur non appartiene al tardo-romanticismo, Bach è un compositore che sia io che Michele amiamo studiare.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Sicuramente trascorreremo ore di studio insieme ed è molto probabile che incideremo un nuovo album insieme. Ho già accennato a Michele l’idea e ne è entusiasta.

Guarda il video del singolo Take it easy

https://www.youtube.com/watch?v=spNBuzraQzI

Daniela so che è in uscita con un nuovo Ep, ci vuole anticipare qualcosa?

Assolutamente sì! Si tratta di un EP di due brani dalla compagine orchestrale, che sarà disponibile dal 20 ottobre 2023 su tutte le principali piattaforme di streaming e download. È nato per gioco qualche mese fa: guardavo un video su YouTube nel quale la dott.ssa Agnese Scappini, condividendo la sua storia e in particolar modo il rapporto con sua sorella Alice, ha trattato il tema della leggerezza. Il modo in cui Alice raggiunge sua sorella e in lei si rifugia mi ha colpito molto, tant’è che ho pensato di utilizzare le vocali del suo nome e scrivere un brano per omaggiare entrambe. Trasformando le vocali del nome Alice in note, ho ottenuto due gruppi di note: il primo discendente (fa-mi-re), il secondo ascendente (la-si-re). I due gruppi, sovrapposti e combinati tra loro, creano e ricreano, in partitura e all’udito, l’effetto di farfalle che si rincorrono.

Per concludere ci volete dare qualche coordinata sulle prossime date?

Come si è già potuto intuire dalle risposte precedenti, questo disco è un tassello che si colloca all’interno della mia discografia. È nato come omaggio a Michele, tuttavia la strada che io perseguo non è quella pianistica, bensì quella della composizione. Si dice che dove dirigi i tuoi pensieri, lì crei la tua realtà. I miei pensieri non sono rivolti alle performance bensì all’atto creativo, l’unico in cui sono e mi sento davvero me stessa. Se col tempo avremo occasione e modo di suonare, lo faremo, ma non è il mio impegno principale al momento, poiché scrivere, produrre ed uscire mensilmente con lavori sempre nuovi e diversi richiede già un notevole e costante impegno.

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L’Orizzonte di Carmelo Venuto: “Il mare e la Sicilia la mia fonte di ispirazione”

 

Si intitola Orizzonte il disco d’esordio del chitarrista e compositore Carmelo Venuto uscito recentemente per l’etichetta GleAM Records. Un album che diventa punto d’incontro tra radici e la ricerca di sound jazzistico moderno e originale. Per il viaggio il leader ha scelto come compagni tre grandi musicisti ovvero, Rosario Di Leo al pianoforte, Riccardo Grosso al contrabbasso, Giuseppe Tringali alla batteria. Ecco il racconto di Carmelo Venuto a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Orizzonte” è uscito a giugno del 2023 per l’etichetta GleAM Records. La formazione, oltre che da me alla chitarra, è composta tre ottimi musicisti: Rosario Di Leo al piano, Riccardo Grosso al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria. In questo disco troverete otto tracce, tutte originali. Dai titoli si capisce che il mare e la Sicilia sono stati la mia fonte di ispirazione, anche solo nell’intenzione per la composizione dei brani. Un punto di partenza da cui ho cercato di esplorare le potenzialità dell’armonia modale e una visione moderna del jazz con al centro una grande attenzione per l’interplay e la contaminazione con altre musiche, vecchie e nuove.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Per anni ho suonato prevalentemente il contrabbasso, ma la chitarra è stato il mio primo strumento. Da quando sono tornato a Catania (vivevo a Bologna) ho ripreso a studiarla, scoperto tanta musica nuova e iniziato a mettere giù delle idee da sviluppare, delle melodie o semplicemente dei groove. Finché non ho sentito l’esigenza di fermare quelle idee e quindi ho messo su il mio quartetto. Ho una grandissima stima per Rosario, Riccardo e Peppe, siamo amici da tanto tempo e abbiamo collaborato in tanti progetti, sapevo che con loro avrei trovato il giusto sound. Dalla prima prova ad ora abbiamo fatto tanta strada e spero di essere solo all’inizio.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Tutto questo insieme. E’ un modo per fotografare un momento, quando fai musica hai a che fare con aria e vibrazioni, la sensazione di poter “toccare” quello che hai fatto è potente. Ogni tanto lo prendo e lo guardo, è la prova che quello che ho in testa esiste. Ma “Orizzonte” è mio primo disco da leader quindi è sicuramente un punto di partenza, la prima mattonella di quello che vorrei diventasse il mio sound. Nello stesso tempo, dopo anni passati a studiare, suonare e registrare tanta musica, aver fatto il mio disco e trovato tante persone che credono in me, per primo Angelo Mastronardi della GleAM, è un bel punto di arrivo.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Ho scoperto da poco la bellezza e la complessità del mondo di Jimmy Giuffre, con l’alternanza di parti scritte e improvvisate e l’uso del contrappunto, credo che mi abbia influenzato molto. Seguo molto la scena del jazz moderno, sicuramente sono stati importanti per me Gerald Clayton e Kurt Rosenwinkel, entrambi artisti che portano avanti un’idea aperta della musica jazz, con influenze che vanno dalla musica classica all’elettronica. Ma anche l’interplay di Bill Evans e Scott LaFaro, la magia dei Beatles, l’energia di James Brown, le composizioni di Shorter, il rullante di Anderson Paak, le canzoni di Louis Cole, gli arrangiamenti di Hiatus Kayote e molte altre cose…

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Sto già lavorando ai nuovi brani e non vedo l’ora di poterli suonare. Vorrei approfondire ancora l’interplay, riuscire a dilatare l’armonia e a fare muovere la musica in spazi più ampi e liberi.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Quest’estate abbiamo presentato il disco in diversi festival in Sicilia, adesso sono al lavoro per i concerti invernali. Per noi isolani la prima sfida è raggiungere il “Continente”, riuscire a portare il più possibile in giro la mia musica per me è la cosa più importante al momento. Ho registrato una live session in primavera e per uno dei brani del disco c’è un videoclip in arrivo. Insomma nei prossimi mesi ci saranno delle novità, quindi invito chi fosse interessato a seguire le mie pagine su Facebook e Instagram. Grazie a Jazz Agenda per questa bella intervista e speriamo di vederci in giro al più presto!

Giuseppe Cistola, un disco e un atto d’amore verso il grande Wes Montgomery

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Remember Wes è un disco che porta la firma di Giuseppe Cistola, chitarrista che in questo progetto ha percorso un viaggio nella musica di uno dei più grandi artisti jazz della storia. La band è completata da Fabrizio Ginoble all’organo hammond e Michele Sperandio alla batteria. Ecco cosa ci racconta Giuseppe Cistola su questo disco.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Se dovessi descriverlo in poche parole, direi che questo disco è un atto d’amore verso il musicista che mi ha fatto appassionare prima di qualsiasi altro al jazz e alla figura della chitarra nel jazz.

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: perché hai deciso di approcciarti alla figura di Wes Montgomery?

Per me Wes è sempre stato presente in casa. Nella mia infanzia mio padre (anche lui chitarrista) stava passando proprio il periodo di studi degli standards jazz e nello specifico di Wes. Era sempre lì a trascrivere i suoi assoli e i suoi brani…quindi come ho già detto prima, è stato semplicemente un atto di amore e un modo di ringraziarli (Wes e mio padre) per tutto quello che ho ricevuto.

Cosa ha lasciato a tuo avviso Montgomery come linguaggio per le generazioni future?

Dal mio punto di vista Wes è stato un innovatore per quanto riguarda il fraseggio della chitarra jazz. Quando improvvisa, riesce ad avere una liricità talmente spiccata che i suoi soli sembrano siano scritti. Eppure se si ascoltano varie versioni di uno stesso brano ci si può subito rendere conto che era tutto improvvisato. Come se non bastasse ha inventato un fraseggio, un modo di stare sul tempo, le ottave e tante altre tecniche chitarristiche. Wes non si può prescindere dallo studio della chitarra jazz…è un tassello fondamentale del puzzle.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Per quanto mi riguarda, sono convinto che il mio percorso sia differente da quella che è la matrice jazz mainstream. Sono in una fase della mia vita in cui sono molto motivato nel fare ricerca (anche in me stesso) e di provare a continuare a sviluppare idee nel mondo della composizione. Il mio pensiero è quello che dobbiamo cercare perlomeno di vivere i nostri tempi, senza avere la presunzione di essere avanguardisti o di autoproclamarsi innovatori, ma appunto essere recenti. Tutto ciò per dire che questo disco non lo colloco in una linea del tempo, ma piuttosto in un gesto di amore.

Oltre a Montgomery quali sono i tuoi più importanti riferimenti musicali?

Sicuramente molti strumentisti a fiato, perlopiù sassofonisti come: John Colltrane, Ornette Coleman, Joe Henderson, Shabaka Hutchings, Archie Sheep, Albert Ayler, Charles Lloyd e tanti altri. Attualmente però, sto ascoltando parecchia musica indiana tanto che ho contattato un liutaio a Calcutta e mi sono fatto costruire un sitar. Ora sto studiando questo strumento, non con la pretesa di diventare un concertista di musica indiana, ma per cercare di riportare parte di quel mondo nel mio… sia dal punto di vista prettamente strumentale che compositivo.

Quanto ti senti legato alla figura di Wes Montgomery?

Moltissimo. Come detto prima, Wes è stato talmente tanto presente in casa mia che mi sembra quasi di averlo conosciuto di persona. A volte scherzando con mio padre lo chiamo zio Wes.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Fortunatamente abbiamo dei concerti in programma. Mentre per quanto riguarda un nuovo disco al momento siamo indecisi sul fatto di portare avanti un secondo volume tributo a Wes o cimentarci su brani inediti in stile.

Alberto Forino e il disco d’esordio Tiny Toys: “Spazio alla libertà e all’improvvisazione”

Pubblicato dall’etichetta GleAM Records i Tiny Toys è il primo album da leader del pianista e compositore italiano Alberto Forino che vede la partecipazione Giulio Corini al contrabbasso e Filippo Sala alla batteria. Una formazione all’apparenza convenzionale che tuttavia con inventiva, spirito di ricerca e libertà espressiva cerca nuove forme di interazione nel piano trio dando largo spazio all’improvvisazione. Ecco il racconto del leader di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Tiny Toys è una raccolta di nove brani scritti nel corso di diversi anni con l’intenzione di sperimentare e giocare con alcuni aspetti dell’improvvisazione. Nella composizione del materiale il principio guida è stato quello di provare ad individuare qualcosa che potesse orientare l’improvvisazione libera senza imbrigliarla in un rigido schema precostituito ma che ne potesse comunque organizzare lo sviluppo e la sonorità. Dopo i primi bozzetti scritti intorno al 2012-2013 si consolidò l’idea dell’uso dell’improvvisazione da diverse angolazioni (modale, melodica, armonica, su insiemi di note...) in un contesto compositivo alternativo alla griglia di accordi che desse una sonorità coerente e ripetibile.

In aggiunta, c’era la volontà che ogni brano avesse un’identità definita e riconoscibile pur lasciando ampi spazi all’invenzione estemporanea dei musicisti coinvolti e alle possibili evoluzioni esecuzione dopo esecuzione.

Raccontateci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

L’idea del trio nasce dopo qualche prova dei primi abbozzi dei brani in varie formazioni: diversi duo, quartetto, quintetto. La formula del trio è risultata essere la più flessibile e pratica sia per motivi logistici ma soprattutto per ridurre al minimo le indicazioni e le parti preparate e lasciare così più spazio e libertà all’improvvisazione. Con Giulio Corini ci conosciamo da tempo. Era capitato di suonare in alcune occasioni meno strutturate, mentre con Filippo Sala non avevo mai suonato, anche se lo conoscevo come musicista per i suoi gruppi e le sue numerose collaborazioni.

Quando ho chiamato Giulio e Filippo ho proposto loro semplicemente di costituire un trio per dei brani che “avevo scritto”. Al momento non accennai nulla al tipo di sperimentazione e ricerca che immaginavo per il progetto. Dapprima abbiamo fatto una prova in duo, con pianoforte e contrabbasso, per verificare la fattibilità di alcuni incastri melodici e armonici. Subito dopo, già durante la prima prova in trio, abbiamo sentito che c’era un bell’equilibrio e una grande energia: non restava che lasciarla risuonare.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Forse un po’ tutte queste cose insieme: non avendo avuto troppe occasioni in precedenza per fissare la musica che facciamo è stato sicuramente un punto di arrivo importante. Al tempo stesso essendo un progetto in divenire è la fotografia di un istante, di come suonava la nostra musica nelle stanze del Monolith Studio in quei due giorni nel dicembre 2021. La gioia che ci ha dato e che ci dà ci spinge inevitabilmente anche a guardare avanti facendo così del disco un punto di partenza per nuovi orizzonti.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Dal punto di vista soprattutto compositivo ci sono molte figure alle quali sento di dover essere grato per la loro musica e per le loro idee che hanno poi ispirato in un modo o nell’altro la scrittura di questo lavoro. In ambito jazzistico tra i compositori storici sicuramente Thelonious Monk, Charles Mingus, Ornette Coleman, Lennie Tristano, Wayne Shorter, Miles Davis e Cecil Taylor. Tra i contemporanei Franco D’Andrea, Stefano Battaglia (con i quali ho avuto l’onore di studiare) e Tim Berne.
Una forte influenza inoltre arriva anche da alcuni autori del mondo della musica classica come Satie, Debussy, Webern e Ligeti. A questi nomi vorrei però aggiungere i concerti e i dischi di tantissimi colleghi e amici che ho la fortuna di frequentare e che sono di inesauribile esempio e stimolo.

Come vedi il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Nell’immediato vogliamo vedere come i brani evolveranno, muteranno e prenderanno una direzione o l’altra nel corso dei live con la maturazione del nostro suono e dell’interplay collettivo. Oltre a questo nel cassetto sono rimasti, e sono arrivati nel frattempo, altri bozzetti e altre idee per nuove composizioni con le quali vorremmo presto confrontarci.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Questo inverno ci saranno alcune date di presentazione del disco,  durante le quali proporremo il repertorio con qualche nuovo inserimento. Dopodiché comincia ad aleggiare l’idea di una nuova registrazione anche con l’ipotesi di un allargamento dell’organico o la presenza di un eventuale ospite. Un passo dopo l’altro vedremo dove ci porteranno questi giocattolini.

 

IFA Quintet: “Una ricerca incentrata sul groove, la melodia e l’improvvisazione”

È uscito per l’etichetta Emme Record Label il disco d’esordio del quintetto IFA dal titolo omonimo. Un progetto raffinato, dal grande senso melodico che si esprime attraverso il linguaggio universale della musica, cercando di non chiuderla nelle barriere degli stili o dei generi. La band, che si è formata dopo il percorso di studi nella Siena Jazz University, è composta da Francesco Assini alla tromba, Matteo Fagioli al sax, Michele De Lilla al piano, Fabio Angeli al basso e da Giuseppe Salime alla batteria. Ecco il racconto di questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

IFA è un disco strumentale che è stato registrato nel settembre 2022. In esso troviamo composizioni originali dove spicca una ricerca incentrata principalmente sul groove, la melodia e l’improvvisazione, con alla base un’impronta prettamente jazzistica. Il disco si apre con Pop Song, scritta da Michele de Lilla che ha un andamento cadenzato ed è senza dubbio quella che più si avvicina a una forma “canzone” grazie a una melodia diretta e immediata molto riconoscibile. Floating on the surface, di Francesco Assini, rappresenta invece un omaggio alla spensieratezza ed è caratterizzato all’inizio da un suono quasi etereo dove i fiati fraseggiano alla perfezione con grande lirismo. In un secondo momento la dinamica diventa più sostenuta e subentra un pianoforte dall’andamento più cadenzato che poi lascia nuovamente la parola alla tromba, al sax e anche al basso nell’estro improvvisativo. Possibilities, sempre di Assini, è un brano dal carattere più sinuoso e introspettivo che descrive in musica le scelte che si possono prendere nella vita.  Holding you at distance è scritto a quattro mani con la prima parte che porta la firma di Fabio Angeli, caratterizzata da un tema limpido e diretto, mentre la seconda, più introspettiva e contemplativa, è stata composta da Michele de Lilla. Prayer è invece una composizione dai tratti più malinconica, quasi onirica e in certe fasi anche minimale che mantiene sempre un grande senso melodico, caratteristica peculiare della band. Questa breve descrizione è un incipit, il più possibile oggettivo, per consigliarvi all’ascolto del disco, così da sviluppare delle impressioni personali e soggettive da ascoltatore.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto nasce nelle aule della Siena Jazz University dalle ceneri di diversi progetti e gruppi che non sono stati longevi, ma necessari per capire a fondo quale potesse essere la formazione con la quale poter esprimere la nostra musica al meglio. Nel 2020 IFA nasce in qualità di trio con pianoforte, basso e batteria. Ad inizio 2022 il trio sente la necessità di solisti chiamando Matteo Fagioli al sax contralto e successivamente Francesco Assini alla tromba. Con questa formazione a settembre dello stesso anno registra il disco. Il progetto, dopo la registrazione, si sta piano piano discostando dalle sonorità acustiche, ad esempio viene utilizzato il Rhodes al posto del pianoforte. I brani che stiamo proponendo nei nostri live hanno sonorità legate a neo-soul, hip hop

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Questo lavoro è stato sicuramente un punto di partenza nato dal bisogno di fare un progetto il più longevo e serio possibile. L’atto di registrare un lavoro discografico, in virtù di musicisti, rappresenta la serietà, la dedizione e l’ amore in quello che facciamo. Paragonerei questo lavoro più che a una fotografia a un dipinto. Come un pittore il musicista, soprattutto  in giovane età, tende a evolversi continuamente quindi il disco come il dipinto mette in luce oltre alle abilità tecniche anche i propri sentimenti e quello che si prova in quel preciso istante. La bellezza della musica presente in questo progetto è che si rinnova ogni qualvolta che viene eseguita, che sia alle prove o in una situazione di live session. Ciò può scaturire un continuo sviluppo degli stessi brani all’interno del disco.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Il futuro è sempre un'incognita; il nostro progetto ha sempre subìto una continua evoluzione: è nato con la formazione in trio e si è  allargata in seguito a quintetto, con l'aggiunta dei fiati che hanno cambiato  nettamente il suono del gruppo. Ancora adesso quando riascoltiamo il disco, a distanza quasi di un anno dalla data delle registrazioni, notiamo differenze nel modo di suonare sia individualmente che come gruppo. Ognuno ha la propria vita, il proprio carattere e il proprio modo di esprimersi, sia nella musica che nella vita quotidiana; ma soprattutto ognuno di noi ha la propria storia da raccontare e lo fa attraverso la musica. E il risultato  che viene fuori è sempre una sorpresa, piacevole o meno. Quindi preferiamo non dare troppo peso ad una futura evoluzione del progetto, ma esprimere al meglio noi stessi nell'immediato presente.

 

InControVoce, uno duo che sperimenta la creatività su un materiale preesistente

 

E’ uscito per l’etichetta Filibusta Records il primo album del duo del InControVoce, dal titolo omonimo. In questo caso è l’idea che ha dato forma al progetto di questo duo composto da Gloria Trapani e Alessandro Del Signore. Tutto nasce dalla volontà di esplorare l’affascinante dialogo che si può sperimentare con questa formazione e dal desiderio di fondere diversi linguaggi sonori in un viaggio musicale ricco di sfumature. Ecco il racconto di questa avventura attraverso le parole dei protagonisti.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

GLORIA: Il disco è uscito a giugno per l’etichetta romana Filibusta Records e porta il nome del nostro progetto InControVoce, un duo formato da me alla voce e Alessandro Del Signore al contrabbasso e basso elettrico. Sia io che Ale amiamo molto l’aspetto creativo della musica e se in altri dischi o progetti abbiamo sperimentato una creatività legata alla scrittura e all’arrangiamento di brani nostri originali questa volta avevamo entrambi il desiderio di rapportarci con un materiale preesistente e sperimentare una altrettanto affascinante creatività che abbiamo sicuramente praticato nell’attività live ma poco nei lavori in studio. Così in questo disco troverete 8 brani meravigliosi di diversi compositori e autori come Caetano Veloso ed Egberto Gismonti, di George Gershwin e di Thelonious Monk, di Charles Mingus e Joni Mitchell, di Michel Jackson e Bob Marley nella scelta dei quali ci siamo lasciati guidare dalla bellezza e dalla poesia che ci comunicavano, sia della musica che dei testi.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

GLORIA: Il progetto è nato circa 6 anni fa anche se con Alessandro siamo legati affettivamente e musicalmente da tantissimo tempo e nel corso di questi più volte ci è capitato di suonare in duo. La pandemia e i mesi di lockdown ci hanno però spinto a lavorare un po' più a fondo sulla musica e sulla nostra idea di progettualità insieme; inoltre nel 2021 ho dedicato la mia tesi di biennio in Conservatorio proprio al Duo, e questo ci ha permesso ulteriormente di trovare una nostra identità musicale grazie allo studio e alla ricerca sia individuali che d’insieme, ed è stato un lavoro molto stimolante per entrambi, perché il Duo è una formazione molto affascinante, se da un lato ti da maggiori responsabilità perché è un gioco a due, dall’altra ti apre strade espressive e di dialogo entusiasmanti e inaspettate. Dobbiamo ringraziare davvero tanto una persona molto speciale per noi che è Susanna Stivali, che ci ha incoraggiati e guidati nell’approfondire il progetto proprio durante il lockdown suggerendoci una direzione che probabilmente è stata per noi l’evoluzione più importante: sviluppare un approccio al dialogo contrappuntistico tra le nostre due voci e di pensare anche a momenti in cui uscire dai nostri ruoli canonici (di accompagnamento del basso ed espositivo tematico della voce).

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

GLORIA: Sicuramente per noi rappresenta tutte queste cose, perché indubbiamente un disco è la fotografia di un momento ben preciso del percorso sia del musicista singolarmente ma anche del progetto; ed è sicuramente il punto di arrivo di un percorso sia musicale fatto di ricerca, studio, prove, concerti, ma anche umano e di vita, quindi è una tappa importante che inevitabilmente segna anche un nuovo inizio. La Musica per noi rappresenta un modo di vivere, una ricerca costante, le strade che abbiamo percorso ci hanno portato ad essere ciò che siamo in questo momento ma non si smette mai di “imparare”, di cercare il proprio suono e anche il proprio ruolo, il proprio posto  in relazione agli altri nello spazio musicale, è una ricerca bellissima, è come  nella vita, si lavora su se stessi ma anche in relazione agli altri, la Musica quando la ami profondamente ispira la tua vita così come la vita ispira la musica che fai.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

ALESSANDRO: Sicuramente le nostre influenze e i nostri riferimenti musicali sono molteplici perché sia io che Gloria amiamo la musica a 360 gradi, dal jazz alla musica classica dal rock al cantautorato, dalla musica brasiliana al soul, e in qualche modo questo si può dedurre sia dalla scelta dei compositori e dei brani presenti nel disco che dagli arrangiamenti. Per questo disco in particolare oltre a ciò che si può evincere dalla scelta dei compositori altrettanti input importanti forse li abbiamo avuti da alcuni concerti a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere, l’intimità e la magia di Caetano Veloso in solo al teatro Sistina, la ricerca e la raffinatezza della musica, degli arrangiamenti e del sound di Paolo Conte all’Auditorium Parco della Musica, il Jazz esplosivo, coinvolgente e carismatico di Brandford Marsalis, la ricerca, il pensiero musicale, il tocco e la sintesi bellissima di blues, classicismo e jazz di Bred Meldau in solo…e potremmo continuare all’infinito.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Sicuramente il desiderio è di continuare su questa strada magari provando anche a scrivere musica originale per questo progetto. Vediamo dove ci porterà la musica…

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

ALESSANDRO: Dopo i due concerti di presentazione del disco che abbiamo fatto nel mese di giugno e un concerto tenuto a Fondi qualche giorno fa stiamo lavorando ad alcune date autunnali, sia a Roma che fuori, un po' in giro per l’Italia. Le pubblicheremo e pubblicizzeremo al più presto quindi invitiamo tutti i lettori interessati ai nostri concerti a seguire le nostre pagine e profili sia facebook che instagram. Nel frattempo quest’estate invece saremo impegnati in vari concerti sia io che Gloria con diversi progetti di cui facciamo parte.

GLORIA: Ringraziamo Jazz Agenda per questa bella occasione e auguriamo a tutti i lettori una splendida estate piena di musica e di jazz e chissà che non ci si possa vedere in giro magari a qualche concerto, noi ce lo auguriamo.

 

Nugara Trio, Point of Convergency: “Un punto di incontro per sperimentare ed esprimere la diversità”

Un disco variegato, dalle mille sfaccettature in cui confluiscono diversi linguaggi che partono dalla musica classica e romantica, fino a raggiungere il folk, la world music e anche il pop. In questo modo possiamo riassumere Point of Convergency, primo album del Nugara Trio, prodotto da GleAM records, formato da Francesco Negri al piano, Viden Spassov al contrabbasso e Francesco Parsi alla batteria con special guest la straordinaria violinista Anais Drago. Ecco il racconto della band su Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Quando ci chiedono di descrivere il disco, ci piace proporre all'ascoltatore di usare l'immagine di una semplice figura geometrica: immaginate di tracciare delle linee a partire dai vertici di un triangolo che si innalzano verso l'alto, intersecandosi in un unico punto, e ricreando, di fatto, una piramide. Immaginate che ogni linea porti con sé un bagaglio fatto di esperienze, musicali in primis, ma anche culturali ed esistenziali, ed ognuna formi e contraddistingua un individuo unico nel suo genere, rendono l'apice della piramide un fertile punto di incontro dove poter sperimentare ed esprimere la diversità di tali individui, stimolando il confronto e la creatività. E' una descrizione un po' evocativa ma secondo noi efficace, che mette in focus il concetto del disco. Per essere più pragmatici “Point of Convergency” è l'unione di tre musicisti, ognuno con il proprio background e la propria storia, che hanno riversato le proprie idee musicali senza porsi limiti di nessun tipo; nel disco sentirete influenze tratte dalla musica classica e romantica, dal folk e dalla world music, il pop, il progressive rock e ovviamente il jazz, vero catalizzatore in grado di chiudere il cerchio. Ci siamo divertiti a confrontarci e a metterci in gioco, a volte anche scontrandoci, ma trovando sempre un punto di incontro che rende il disco vivo e mai banale.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Ci siamo conosciuti nell'estate del 2021 ai Seminari di Nuoro Jazz, quando siamo stati premiati con le borse di studio destinate ai migliori studenti. E' stata un'edizione particolare per via delle restrizioni sanitarie del Covid e di fatto, ci siamo incontrati solo l'ultimo giorno alle premiazioni. Non ci conoscevamo, ognuno veniva da una città diversa dell'Italia (addirittura Francesco P. studia durante l'anno in Olanda) e ci dissero: “Ok ragazzi, adesso siete un gruppo, ci vediamo tra un anno e ci farete sentire cosa avete combinato”. È stata veramente una sorpresa, considerando il fatto che dal tenere un solo concerto a Nuoro, la faccenda si è evoluta ben oltre le nostre aspettative. Abbiamo cominciato a lavorare nonostante le difficoltà logistiche date dalla distanza; abbiamo trovato i primi concerti con tanto di qualche premio a qualche concorso, vinto un bando Nuovo Imaie che ha finanziato il disco, conosciuto una fantastica persona come Angelo Mastronardi di Gleam Records che ha creduto in noi e guardiamo al futuro con entusiasmo e voglia di suonare la nostra musica!

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

E' il nostro disco di debutto quindi ti direi che tutti e tre vediamo questo lavoro come un punto di partenza si spera, anche se non ti nascondiamo che è anche un bel traguardo che ci rende orgogliosi per la determinazione che abbiamo avuto nel credere nel progetto e in noi.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Visto la natura del progetto è davvero complesso fare una lista di nomi. Non essendoci un band leader vero e proprio e non avendo posto limiti artistici o di genere, ognuno di noi tre ha i propri musicisti di riferimento che lo hanno influenzato nella scrittura e nell'arrangiamento dei brani e citarli tutti sarebbe davvero fare un bel calderone di bella musica che va dal jazz, alla musica classica, alla musica balcanica, al rock alternativo.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Al momento siamo molto concentrati sul presente, il disco è appena uscito e siamo entusiasti nel poterlo suonare il più possibile, anche perché scopriamo sempre nuove soluzioni o nuove idee nel proporre i brani che abbiamo scritto. Non sempre è facile perché la maggior parte delle composizioni contengono arrangiamenti complessi e ben strutturati ed è un attimo basarsi su automatismi che funzionano e sono “sicuri”. Cerchiamo sempre di dare qualcosa di nuovo soprattutto nei momenti più legati all'interplay e all'improvvisazione; piccole idee, che ci scambiamo ed elaboriamo quando suoniamo; alcune funzionano, altre meno ma è sicuramente un modo valido che abbiamo per tenere sotto esercizio la nostra creatività oltre che rendere la musica che suoniamo fresca e viva. Per il futuro più lontano vedremo, come detto il disco rappresenta un punto di partenza, e non ci dispiacerebbe scrivere qualcosa oltre la formazione in trio, coinvolgendo altri musicisti, un po' come abbiamo già fatto con la featuring di Anais Drago in due brani del disco. Lei è stata fantastica, e noi ci siamo tanto divertiti nell'avere uno strumento in più che arricchisse le nostre composizioni.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Abbiamo un paio di concorsi durante l'estate ma il grosso arriverà in autunno con il tour di promozione del disco che stiamo allestendo. Per adesso possiamo annunciare una serie di date all'estero finanziate dal bando Jazz ITAbroad di Music Italia Export che ci vedrà impegnati in alcuni clubs in Spagna, Inghilterra, Germania, Austria e Bulgaria. Si parte da Cadiz il 22 settembre, nel sud della Spagna e toccheremo città tra le quali Madrid, Berlino, Manchester, Sofia, Vienna ed altre ancora. Insomma ci aspettiamo un bel tour europeo che non vediamo l'ora di iniziare.

Cesare Ferro racconta Wergild: un concept album che descrive la vita di un soldato

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label Wergild è il disco d’esordio del bassista Cesare Ferro che unisce il linguaggio del jazz con il rock, mediando le chitarre distorte a suoni dai tratti contemporanei. Si tratta di un concept album che attraverso la musica descrive le fasi della vita di un soldato che ha visto la partecipazione di Federico Negri alla batteria, Luca Scardovelli alla chitarra e Riccardo Barba al pianoforte.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Wergild è un concept album sulla guerra che attraverso le composizioni descrittiviste racconta il lungo e atroce viaggio di un soldato. Le contaminazioni presenti nel disco permettono di dipingere diversi scenari: il viaggio verso il fronte, il campo di battaglia, i ricordi malinconici degli affetti perduti e l’epilogo della morte

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il disco è una raccolta di brani scritti in diversi anni e l’idea di racchiuderli in questo prodotto discografico è nata mentre ero a Barcellona durante la mia mobilità Erasmus. In quel periodo infatti ho iniziato ad approfondire la storia del cinema e sono rimasto piacevolmente colpito dal ruolo che recita la musica all’interno della pellicola. Pertanto ho deciso di immaginare una storia e raccontarla attraverso queste composizioni seguendo in maniera coerente il pathos delle diverse scene proprio come in un film.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Per me questo concept album è un punto di partenza che mi stimola ad essere ancora più creativo e alimenta in me il desiderio di poter lavorare con il mondo del teatro o del cinema in futuro.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Le contaminazioni in questo progetto sono fondamentali come lo sono i diversi colori per un pittore che vuole dipingere un quadro. Ho sempre ascoltato e suonato molti generi musicali differenti tra loro e questo mi ha permesso durante il processo creativo di esprimermi al meglio. Quindi nella mia musica oltre al jazz c’è spazio per altri generi. Musicisti come Chuck Schuldiner, Ennio Morricone, Jaco Pastorius, Jeff Buckley e Pat Metheny sono sicuramente dei punti di riferimento.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Come dicevo prima mi auguro di iniziare a collaborare con il mondo del cinema e del teatro affinché il messaggio della mia musica possa arrivare in maniera più fruibile e diretto per tutti.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Al momento ci godiamo il nostro Wergild promuovendolo con un po’ di concerti in giro per lo stivale. Mentre per quanto riguarda il futuro visto che mi piace sperimentare scriverò della musica nuova completamente diversa da questa quindi seguitemi per rimanere aggiornati!

Letizia Brugnoli, il singolo Nostalgiazz: “Un tuffo nelle atmosfere degli anni ‘30”

Si intitola Nostalgiazz il nuovo singolo di Letizia Brugnoli, nuovo singolo pubblicato per l’etichetta Irma Records, che anticipa l’album di prossima uscita. Il brano rappresenta Un tuffo nel passato, nell’America degli anni ’30 e nelle atmosfere dei jazz club hanno caratterizzato quell’epoca ricca di fascino ed eleganza. Ne abbiamo parlato a tu per tu con Letizia Brugnoli.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del singolo: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

È un brano molto coinvolgente il cui titolo fa riferimento ad breve passaggio in cui viene evocata musicalmente un’atmosfera da Jazz club anni trenta. È chiaramente un riferimento stereotipato ed ironico, una sorta di scherzoso omaggio al Jazz del tempo che fu. Il brano si sviluppa tra un tempo latin ed uno swing, dall’incipit ripetitivo ed ipnotico, da ascoltare, insomma.

Facciamo un paragone con il precedente singolo “Il gioco del semaforo”. Quali sono le differenze tra questi due brani?

Il Gioco del Semaforo, dal ritmo più latin Jazz è sicuramente di più facile ascolto ed il testo in italiano rende il brano sicuramente più immediato, perlomeno in Italia. Nostalgiazz ha il testo in inglese e strutturalmente forse è ancora più ricercato, ma ugualmente piacevole all’ascolto.

Come nasce la tua passione per il jazz e per la musica black?

Guarda, il jazz lo ascolto da sempre, fin da quando ero piccola. Mio papà era un pianista e quindi la musica era il pane quotidiano in casa mia.

Visto che a settembre dovrebbe uscire il tuo prossimo disco per Irma Records, ci vuoi dare anche qualche anticipazione a riguardo?

Sarà un disco composto da 12 brani interamente inediti, scritti e arrangiati da Roberto Sansuini, mentre i testi, sia in italiano che in inglese, sono miei. Sarà fondamentalmente un disco Jazz, non un jazz per puristi o amanti della sperimentazione, ma piuttosto per tutti coloro che hanno semplicemente voglia di ascoltare musica con attenzione. Volutamente, i brani sono stilisticamente eterogenei e vanno dallo swing ai brani di derivazione brasiliana fino al latin con influenze dell'electric-jazz anni Settanta.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Si, ci sono già concerti in calendario, altri ancora da confermare, insomma, novità a breve. Abbiamo anche nuove idee per nuovi brani, ma ne parleremo più avanti, dopo l’uscita del disco.

Chiara Orlando e Danielle di Majo raccontano il disco d’esordio ‘Nothing is Vain’

Si intitola Nothing is Vain il disco d’esordio di Chiara Orlando e Danielle di Majo uscito per l’etichetta Filibusta Records. Un disco che rievoca diverse atmosfere che passano dall’hard bop fino a raggiungere atmosfere più latin e Even Eights. Completano la formazione Enrico Zanisi al pianoforte e piano elettrico, Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Alessandro Minetto alla batteria.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

È un disco fatto interamente da musica originale, che stilisticamente risente delle influenze dei musicisti che hanno maggiormente segnato la formazione musicale mia e di Pietro Ciancaglini, in primis Tom Harrell. Si passa da brani più hard bop, a quelli latin, o even eights.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Io e Danielle ci siamo conosciute musicalmente nel 2018, quando l'ho contattata per suonare alla mia tesi di laurea sulle "donne strumentiste italiane", è stato un incontro speciale che mi ha segnata sia dal punto di vista musicale sia umano. Danielle è davvero una ragazza magnifica, oltre che una bravissima musicista, non si può non volerle bene da subito! Da quel momento abbiamo sentito l'esigenza di condividere altra musica ed abbiamo iniziato a pensare ad un progetto insieme.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Per noi questo disco rappresenta un punto di partenza!

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Chiara: i mie punti di riferimento più importanti sono Tom Harrell, Chet Baker, Bill Evans, Art Farmer, Oscar Peterson, Sarah Vaughan, Joe Henderson, ma anche artisti più moderni come Avishai Cohen bass player, Esbjörn Svensson etc.

Danielle: i miei riferimenti musicali sono Wayne Shorter, Cannonball Adderley in primis, la persona che ammiro e che stimo musicalmente e che è la mia forte e continua fonte d’ispirazione è mio marito, il sassofonista Giancarlo Maurino

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Naturalmente speriamo che la nostra collaborazione possa avere lunga vita e la nostra musica si evolverà di pari passo con le nostre esperienze musicali e non.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Poiché in Italia è ancora pesante la distinzione di genere dal punto di vista musicale ed in particolare nel jazz, naturalmente stiamo cercando di proporre il nostro progetto e speriamo di poterlo portare in giro! Parallelamente ci occupiamo anche di altri nostri progetti sia da leader sia da coleader per cui stiamo già registrando dei dischi.

 

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