Jazz Agenda

Introducing Vitantonio Gasparro: “Un approccio melodico e sperimentale alla composizione”

Si intitola Introducing Vitantonio Gasparro, il nuovo album da leader del vibrafonista e compositore pugliese Vitantonio Gasparro pubblicato dall’etichetta GleAM Records. Il disco ha vinto il premio della critica e del pubblico nel concorso internazionale Massimo Urbani 2023 e del primo premio assoluto nel Dexter Jazz contest 2023. Il trio è completato Giuseppe Venezia al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria: due musicisti jazz dalla pluriennale esperienza e dal tocco inconfondibile. Ecco il racconto di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Introducing Vitantonio Gasparro” è un album che mi piace descrivere come la materializzazione sonora del mio percorso musicale, sia di formazione che nel senso artistico vero e proprio. Al suo interno la mia estetica musicale trova espressione in varie sfaccettature, per esempio attraverso approcci sia melodici che sperimentali nella composizione, dando voce anche all’indissolubile legame con la tradizione del jazz, come attestato dalla presenza di due standard.”

Raccontateci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

"Questo progetto nasce quasi per caso. Compongo per diletto sin dall’adolescenza, passione che ho sempre affiancato ai miei studi accademici di percussioni classiche prima, e batteria e vibrafono jazz dopo. Ho lavorato ai brani presenti nel disco negli ultimi anni. Volevo togliermi la soddisfazione di sentire i miei pezzi suonati almeno una volta e così ho chiesto a Giuseppe Venezia, contrabbassista, e Giovanni Scasciamacchia, batterista, musicisti dalla grande sensibilità e decennale esperienza, di fare una session in trio ed il risultato è stato sorprendente. È stato Giovanni a darmi l’idea di registrare, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e due mesi dopo siamo entrati in studio. Successivamente ho avuto la fortuna di entrare in contatto con l’etichetta “GleAM Records” ed il produttore discografico Angelo Mastronardi, che ha voluto credere fino in fondo nella realizzazione dell’album vero e proprio, realizzatosi anche grazie al contributo dell’associazione Rosetta Jazz Club di Giuseppe Venezia, che ringrazio per aver sposato la causa sia in qualità di eccellente sideman che per quanto concerne la produzione. Si è da subito creato con tutti un clima di sinergia e collaborazione e di questo sono particolarmente grato."

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

“Il jazz, probabilmente più di ogni altro genere musicale, porta intrinsecamente con sé la peculiarità di fotografare il momento. Questo disco non fa eccezione perché durante la session di registrazione c’è stata molta spontaneità, molto “live” e pochi rifacimenti. Però non posso fare a meno di considerare l’album anche un punto di partenza, essendo il mio lavoro discografico d’esordio e sicuramente un riferimento per guardarmi dentro e capire con più precisione come sviluppare in futuro la mia estetica musicale e la capacità di bandleader.“

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

“Se provo a razionalizzare e mettere in ordine gli elementi che hanno forgiato il mio stile non posso non citare Charlie Parker ed in generale tutta l’eredità e l’approccio improvvisativo del be-bop. Non definirei il mio un album “mainstream” ma vi ci è sicuramente una radice. Andando più nello specifico del mio strumento, il vibrafono, i miei riferimenti sono chiaramente i grandi interpreti del passato, fra tutti Lionel Hampton e Milt Jackson, ma anche moderni, come ad esempio Simon Moullier, vibrafonista della nuova generazione che a mio parere sta portando novità nella concezione sonora ed una differente prospettiva in un formazione poco blasonata come quella del vibrafono trio. Infine, se penso al mio approccio compositivo, sono stato, magari inconsciamente, influenzato anche dal jazz modale di Miles Davis e dal suo modo di concepire lo spazio all’interno dei brani e delle improvvisazioni.”

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

“In futuro mi piacerebbe provare ad ampliare la formazione e farla diventare un quartetto, magari con uno strumento a fiato. Le esplorazioni ritmiche ed armoniche che il vibrafono trio concede sono pane per i miei denti ma trovo estremamente stimolante anche il fatto di dover accompagnare un altro strumento solista durante l’improvvisazione. Dal punto di vista più specificamente estetico, questo primo album è stato un importante banco di prova che mi ha fatto capire cosa perfezionare, ma anche individuare gli elementi più interessanti da sviluppare e che mi auguro diventeranno un tratto distintivo della mia personalità musicale nei prossimi lavori.”

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

“Ho presentato recentemente il disco al Duke Jazz Club di Bari, club giovane ma già tra i più apprezzati ed importanti in Italia e a cui sono particolarmente legato per via della mia collaborazione musicale con il direttore artistico e chitarrista Guido Di Leone, che è stato uno dei primi a credere in me dal punto di vista professionale. Abbiamo altre date in cantiere ma ancora in fase di definizione.“

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Antonello Losacco racconta Worlds Beyond: “Una nuova sfida per cambiare direzione sonora”

Si intitola Worlds Beyond l’ultimo lavoro discografico di Antonello Losacco pubblicato dall’etichetta GleAM Records. Un album il cui stile compositivo è caratterizzato da una forte componente descrittiva che si rifà a sonorità cinematiche, intrecciate con il jazz europeo e contemporaneo, mantenendo una spiccata vena melodica e una ricercatezza formale e timbrica negli arrangiamenti. Hanno partecipato a questa avventura Vitantonio Gasparro al vibrafono,  Vito Tenzone alla batteria con gli ospiti speciali Roberto Ottaviano al sax soprano e Badrya Razeem. Ecco il racconto di Antonello Losacco a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Worlds Beyond a partire dal titolo che si presta a più letture e interpretazioni, racchiude una serie di composizioni originali firmate dal sottoscritto, ognuna delle quali ispirata da una riflessione, suggestione o momento di vita. Questo album, così come il precedente è inteso come una sorta di colonna sonora e quasi tutti i brani sono stati scritti e arrangiati appositamente per la formazione presente. Infatti l’idea centrale di suono si basa sul trio (vibrafono, basso 7 corde e batteria: Vitantonio Gasparro al vibrafono e Vito Tenzone alla batteria); impreziosita dal sax soprano di Roberto Ottaviano e dalla voce di Badrya Razem. Fondamentale è stata la connessione di intenti col discografico Angelo Mastronardi di GleAM Records. L’album inoltre è stato realizzato con supporto di Puglia Sounds record.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Nel 2022 è uscito il mio primo album da solista intitolato Respira, edito da GleAM Records, ed in esso la formazione era costituita da un duo pianoforte/bassi (contrabbasso e basso elettrico) e completata da un quartetto d’archi. Un album cinematico e descrittivo. Avevo quindi voglia di affrontare una nuova sfida e cambiare completamente direzione sonora. Ed infatti mi sono circondato da ben due percussionisti! Inoltre la centralità che riveste il mio ruolo in questo trio mi consente di esplorare appieno le possibilità del mio strumento e creare intrecci sonori inediti. In effetti non esiste nessun altro trio con le stesse caratteristiche. Il progetto è abbastanza “giovane” infatti dopo un paio di incontri con i musicisti presenti ho iniziato a scrivere ed arrangiare e dopo un mese eravamo in studio di registrazione.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Worlds Beyond è sicuramente la descrizione di un periodo artistico che sto vivendo ma che è sempre parte di un percorso in continua evoluzione e ricerca. Amo mantenere una coerenza espressiva e compositiva, così come ho necessità di guardare sempre oltre, appunto “Worlds Beyond”

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

I miei gusti sono molto diversificati tra loro; da Metheny a Morricone, da John Williams a Samuele Bersani, da Bill Evans ai Police, da Miles, Shorter, Rollins, Brecker, Holdsworth, ad Avishai Cohen, Hans Zimmer, Wheeler, Aaron Parks, e così via. Ascolto anche artisti assolutamente contemporanei sia nel jazz, sia in altri generi. Mi piace anche molto la musica classica che a volte diventa un rifugio nel quale ritrovare bellezza, serenità, grandiosità ed eterno; penso a Ravel, Debussy, ma anche Scriabin, per arrivare a Bach, Beethoven, ora basta a scomodare questi geni nella mia intervista ah ah.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Il mio desiderio più grande è quello di poter suonare il più possibile dal vivo con i musicisti presenti nell’album. In ogni nuova occasione di suonare insieme si crea qualcosa di nuovo, si perfeziona l’interazione, si esplorano i brani con occhi diversi. Sto già scrivendo nuove composizioni e arrangiamenti di standards da suonare con il trio o quartetto nelle prossime esibizioni. Le evoluzioni per il futuro potrebbero portarci a nuove collaborazioni, un nuovo album, chissà.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Abbiamo già tenuto alcuni concerti, showcase e interviste. Ora siamo in fase di programmazione delle date per il 2024 sia in Italia, sia all’estero. Ci tengo a segnalare una data nella mia città, ovvero Bari, presso il Duke Jazz club, prevista per il 24 febbraio 2024. Le prossime date saranno pubblicate sui miei social (instagram e facebook). Ci tengo a ringraziare personalmente ed a nome del gruppo lo staff di GleAM Records e Jazz Agenda. Un saluto a tutti voi che leggerete queste righe.

 

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Antonio della Polla e il Vibes Trio: “Un riassunto di esperienze musicali tra generi e stili diversi”

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Vibes Trio è il disco d’esordio della band guidata dal vibrafonista e percussionista Antonio della Polla. Un disco dallo spiccato senso melodico che fonde diversi stili e che sintetizza alla perfezione le diverse esperienze musicali dei musicisti che vi hanno preso parte. In questo lavoro hanno preso parte Andrè Ferreira al contrabasso e Vladimiro Celenta alla batteria. Ecco il racconto del leader di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il disco è un simil concept-album dove il filo di connessione fra i brani è la varietà che oppone essi stessi, rappresentano il riassunto delle mie esperienze musicali dove ho voluto tradurre in questa formula del trio jazz generi e stili differenti. In questo modo si passa da brani dove è forte l’influenza dei pianisti che hanno definito le caratteristiche del moderno trio jazz, a brani dove le ritmiche pop e delle culture extra-europee delineano il leitmotiv della composizione.

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto è nato da una voglia di sperimentazione ma allo stesso tempo di consolidamento delle mie esperienze musicali. Quando ho deciso di voler mettere ordine alle mie idee ho subito chiamato Vladimiro che è il batterista che più spesso mi ha accompagnato nel mio percorso, per il contrabasso invece ho voluto cercare qualcuno che oltre ad un contributo musicale mi potesse trasmettere una forte empatia e cosi è partito una sorta di casting dove alla fine la scelta è ricaduta su Andrè, da allora abbiamo provato tanto e abbiamo anche iniziato a proporre i primi brani del futuro disco durante i concerti per testare il feedback del pubblico.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Sicuramente è una fotografia del momento nella maniera più netta anche perché prima di intraprendere questo progetto avevo alcuni brani in cantiere che erano destinati  ad un altro progetto musicale  ma che  non rispecchiavano il mio stato emotivo ed i miei gusti musicali così ho iniziato a lavorare su questi altri brani che meglio descrivevano quel momento.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Assolutamente si, nel mio caso è fortissima l’influenza dei pianisti che hanno fatto la storia del jazz mondiale, da quelli del periodo classico come Bill Evans e Wynton Kelly su tutti, a pianisti del più recente passato come Kenny Barron e Brad Mehldau, in generale la tradizione del jazz rappresenta la mia maggiore influenza quindi si può dire che tutti i grandi artisti del genere mi abbiano influenzato;  ci sono poi alcuni artisti che sono diventati i miei idoli come ad esempio Victor Feldman, vibrafonista, batterista, pianista e percussionista britannico; musicista poliedrico per eccellenza, sono rimasto folgorato dalla capacità di produrre musica di altissimo spessore in diversi contesti, da musicista degli  Steely Dan a i concerti live in trio suonando piano e vibrafono in maniera virtuosistica fino al periodo fusion, davvero incredibile!

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Spero di continuare a produrre musica per questo trio e di poter incidere anche nuovi lavori, in generale l’esperienza discografica mi affascina e mi piacerebbe poter registrare tanti dischi anche di diverso genere e in progetti musicali altrui. Mi piacerebbe a breve poter fare un progetto dove sia presente un secondo strumento armonico in modo da poter meglio esprimere il carattere solistico di questo strumento e di valorizzarne il timbro; le idee sono davvero tante e hanno bisogno di essere ordinate.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Per il momento non abbiamo in cantiere alcuna registrazione ma ci stiamo concentrando a portare avanti una futura stagione concertistica per il trio, a breve avremo una presentazione del disco nella mia città (Salerno) e a Caserta, seguiteci sempre per le novità!

 

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Le corde a colori disegnate dalla chitarra di Massimo Sorrentino

Si intitola Corde a Colori l’ultimo disco del chitarrista Massimo Sorrentino uscito per l’etichetta RadiciMusic Records. Un concept album dove la divisione dei colori diventa fonte d’ispirazione per la creatività e la composizione. Completano la formazione di questo progetto Daniele Sorrentino al contrabbasso e Andrea Rea al pianoforte. Ecco il racconto del leader a capo di questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Innanzitutto un caloroso saluto ai gentili lettori di Jazz Agenda. Il mio nuovo CD, “Corde a colori” (uscito per la RadiciMusic Records), nasce come un “concept-album” (10 brani inediti + 2 standard) diviso in 4 parti: il filo conduttore di questa immaginaria divisione è il mondo dei colori. Infatti ho voluto creare della musica attraverso la suggestione che determinati colori riuscivano a darmi: da qui l’idea di creare una sorta di ‘quadri musicali’, formati da tre brani ciascuno. Più nello specifico: al ‘bianco’ è affidata l’apertura del disco, con una formula strumentale minimalista, con brani in “chitarra solo”. Il momento del  ‘verde’ è imperniato da un sound tradizionale e jazzistico, in una classica formazione con contrabbasso e pianoforte (rispettivamente con Daniele Sorrentino e Andrea Rea, noti jazzisti dello “Stefano Di Battista Quartet”), poi si arriva ai momenti dedicati al colore ‘rosso’, che vuole richiamare la suggestione teatrale e filmica della musica, con delle composizioni e degli arrangiamenti  contraddistinti da organici più vasti, sinfonici, con impronte jazz sperimentali e contaminate, per poi concludere questo viaggio nei ‘colori musicali’ con l’ultimo ‘quadro’ dedicato al colore ‘blu’, in cui vi sono richiami all’improvvisazione più moderna, con incursioni anche nel rock e nell’afro beat, grazie all’ausilio di una certa vastità di chitarre elettriche e di loop elettronici.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Questo è il mio terzo CD da leader. I miei progetti hanno sempre avuto delle collaborazioni variegate, questo per rendere la mia musica più versatile possibile e allo stesso tempo poco etichettatile, anche se certi riferimenti e influenze sono evidenti. Ad esempio non nascondo che molte delle mie composizioni risentono dell’approccio strutturale e stilistico del “Pat Metheny Group”. Ma nel mio piccolo ho sempre cercato di attorniarmi di musicisti/amici con i quali ricercare un suono e un mood che fossero riconoscibili e che dessero una certa continuità al mio percorso artistico. In tal senso mio fratello Daniele e Andrea Rea hanno rappresentato una costante per questi progetti discografici, trattandosi di jazzisti estremamente duttili ed eclettici.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

In effetti ogni incisione, ogni esecuzione è una istantanea unica di un momento irripetibile. Nel jazz questa definizione lo è ancora di più, in quanto si parla di musica che spesso si avvale di improvvisazione, di ‘soli’ che vengono condizionati da un istante specifico. Per questo la registrazione di un album è fondamentale, perché sei consapevole che tali esecuzioni ed interpretazioni non avverranno mai più come in studio. E’ la croce e delizia del jazz: l’irripetibilità di quel momento, di quel presente. E’ un po’ il rischio dei jazzisti: non possono replicare degli assoli, anche se propri, ma questo è anche molto stimolante per cercare sempre nuovi input.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Come accennavo prima, il ‘Pat Metheny Group’ mi ha molto influenzato nel modo di comporre e di concepire la musica strumentale. Sono un grande appassionato di Metheny, apprezzando soprattutto gli ultimi lavori con il suo storico gruppo. Anche il suo ‘chitarrismo’ mi ha sempre ispirato. Ma lui in un certo senso è un’eccezione nel mio percorso, perché in generale direi che i miei riferimenti e le fonti di studio, difficilmente sono stati dei chitarristi: il mio ascolto è sempre stato più attratto dai pianisti, o dai tanti altri grandi strumentisti della storia del jazz. Da Herbie Hancock, McCoy Tyner, Coltrane, Miles, Pastorius fino a Brad Mehldau e Django Bates. Fra l’altro quest’ultimo credo sia il pianista/arrangiatore più sottovalutato della storia, nonostante abbia comunque una discografia ed una carriera di tutto rispetto. Infine, oltre al jazz, non posso non citare i Beatles come riferimenti assoluti, ed in particolare modo Paul McCartney, che reputo il più grande compositore di musica e di ‘melodie’ dell’ultimo secolo. Non a caso nel disco ho voluto omaggiarlo con una versione di “Blackbird”.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Viviamo in un’epoca in cui la commistione sonora tra le varie culture musicali, e non, è sempre più presente. Mi piace pensare che questo approccio sia molto jazzistico: d’altronde il jazz nasce dall’incontro di più culture e grazie al dialogo continuo di grandi musicisti che ricercavano nuovi linguaggi e nuove frasi musicali. L’obiettivo personale quindi è quello di proseguire e perseguire questa filosofia: proporre la mia musica, anche in questo periodo in cui tutto tende a dover essere identificabile ed etichettato, senza troppi vincoli di genere, evitare certi steccati e dare spazio alla libertà di espressione. Questo credo possa valere anche in generale, non solo musicalmente parlando.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Progetti futuri tanti: concreti o solo in cantiere. Innanzitutto c’è la volontà di portare parte di questo disco in giro, in trio, con Daniele Sorrentino al basso e Luigi Del Prete alla Batteria. Proprio con quest’ultimo ho realizzato una versione inedita di un mio brano presente nel CD: rappresenterà il nuovo singolo del disco e si chiama “From the sea to the sky". Uscirà solo per il mercato digitale nelle prossime settimane: sarà una sorta di bonus-track del disco.

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L’Orizzonte di Carmelo Venuto: “Il mare e la Sicilia la mia fonte di ispirazione”

 

Si intitola Orizzonte il disco d’esordio del chitarrista e compositore Carmelo Venuto uscito recentemente per l’etichetta GleAM Records. Un album che diventa punto d’incontro tra radici e la ricerca di sound jazzistico moderno e originale. Per il viaggio il leader ha scelto come compagni tre grandi musicisti ovvero, Rosario Di Leo al pianoforte, Riccardo Grosso al contrabbasso, Giuseppe Tringali alla batteria. Ecco il racconto di Carmelo Venuto a Jazz Agenda.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Orizzonte” è uscito a giugno del 2023 per l’etichetta GleAM Records. La formazione, oltre che da me alla chitarra, è composta tre ottimi musicisti: Rosario Di Leo al piano, Riccardo Grosso al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria. In questo disco troverete otto tracce, tutte originali. Dai titoli si capisce che il mare e la Sicilia sono stati la mia fonte di ispirazione, anche solo nell’intenzione per la composizione dei brani. Un punto di partenza da cui ho cercato di esplorare le potenzialità dell’armonia modale e una visione moderna del jazz con al centro una grande attenzione per l’interplay e la contaminazione con altre musiche, vecchie e nuove.

Raccontaci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Per anni ho suonato prevalentemente il contrabbasso, ma la chitarra è stato il mio primo strumento. Da quando sono tornato a Catania (vivevo a Bologna) ho ripreso a studiarla, scoperto tanta musica nuova e iniziato a mettere giù delle idee da sviluppare, delle melodie o semplicemente dei groove. Finché non ho sentito l’esigenza di fermare quelle idee e quindi ho messo su il mio quartetto. Ho una grandissima stima per Rosario, Riccardo e Peppe, siamo amici da tanto tempo e abbiamo collaborato in tanti progetti, sapevo che con loro avrei trovato il giusto sound. Dalla prima prova ad ora abbiamo fatto tanta strada e spero di essere solo all’inizio.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Tutto questo insieme. E’ un modo per fotografare un momento, quando fai musica hai a che fare con aria e vibrazioni, la sensazione di poter “toccare” quello che hai fatto è potente. Ogni tanto lo prendo e lo guardo, è la prova che quello che ho in testa esiste. Ma “Orizzonte” è mio primo disco da leader quindi è sicuramente un punto di partenza, la prima mattonella di quello che vorrei diventasse il mio sound. Nello stesso tempo, dopo anni passati a studiare, suonare e registrare tanta musica, aver fatto il mio disco e trovato tante persone che credono in me, per primo Angelo Mastronardi della GleAM, è un bel punto di arrivo.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Ho scoperto da poco la bellezza e la complessità del mondo di Jimmy Giuffre, con l’alternanza di parti scritte e improvvisate e l’uso del contrappunto, credo che mi abbia influenzato molto. Seguo molto la scena del jazz moderno, sicuramente sono stati importanti per me Gerald Clayton e Kurt Rosenwinkel, entrambi artisti che portano avanti un’idea aperta della musica jazz, con influenze che vanno dalla musica classica all’elettronica. Ma anche l’interplay di Bill Evans e Scott LaFaro, la magia dei Beatles, l’energia di James Brown, le composizioni di Shorter, il rullante di Anderson Paak, le canzoni di Louis Cole, gli arrangiamenti di Hiatus Kayote e molte altre cose…

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Sto già lavorando ai nuovi brani e non vedo l’ora di poterli suonare. Vorrei approfondire ancora l’interplay, riuscire a dilatare l’armonia e a fare muovere la musica in spazi più ampi e liberi.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Quest’estate abbiamo presentato il disco in diversi festival in Sicilia, adesso sono al lavoro per i concerti invernali. Per noi isolani la prima sfida è raggiungere il “Continente”, riuscire a portare il più possibile in giro la mia musica per me è la cosa più importante al momento. Ho registrato una live session in primavera e per uno dei brani del disco c’è un videoclip in arrivo. Insomma nei prossimi mesi ci saranno delle novità, quindi invito chi fosse interessato a seguire le mie pagine su Facebook e Instagram. Grazie a Jazz Agenda per questa bella intervista e speriamo di vederci in giro al più presto!

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Giuseppe Cistola, un disco e un atto d’amore verso il grande Wes Montgomery

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label, Remember Wes è un disco che porta la firma di Giuseppe Cistola, chitarrista che in questo progetto ha percorso un viaggio nella musica di uno dei più grandi artisti jazz della storia. La band è completata da Fabrizio Ginoble all’organo hammond e Michele Sperandio alla batteria. Ecco cosa ci racconta Giuseppe Cistola su questo disco.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Se dovessi descriverlo in poche parole, direi che questo disco è un atto d’amore verso il musicista che mi ha fatto appassionare prima di qualsiasi altro al jazz e alla figura della chitarra nel jazz.

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: perché hai deciso di approcciarti alla figura di Wes Montgomery?

Per me Wes è sempre stato presente in casa. Nella mia infanzia mio padre (anche lui chitarrista) stava passando proprio il periodo di studi degli standards jazz e nello specifico di Wes. Era sempre lì a trascrivere i suoi assoli e i suoi brani…quindi come ho già detto prima, è stato semplicemente un atto di amore e un modo di ringraziarli (Wes e mio padre) per tutto quello che ho ricevuto.

Cosa ha lasciato a tuo avviso Montgomery come linguaggio per le generazioni future?

Dal mio punto di vista Wes è stato un innovatore per quanto riguarda il fraseggio della chitarra jazz. Quando improvvisa, riesce ad avere una liricità talmente spiccata che i suoi soli sembrano siano scritti. Eppure se si ascoltano varie versioni di uno stesso brano ci si può subito rendere conto che era tutto improvvisato. Come se non bastasse ha inventato un fraseggio, un modo di stare sul tempo, le ottave e tante altre tecniche chitarristiche. Wes non si può prescindere dallo studio della chitarra jazz…è un tassello fondamentale del puzzle.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Per quanto mi riguarda, sono convinto che il mio percorso sia differente da quella che è la matrice jazz mainstream. Sono in una fase della mia vita in cui sono molto motivato nel fare ricerca (anche in me stesso) e di provare a continuare a sviluppare idee nel mondo della composizione. Il mio pensiero è quello che dobbiamo cercare perlomeno di vivere i nostri tempi, senza avere la presunzione di essere avanguardisti o di autoproclamarsi innovatori, ma appunto essere recenti. Tutto ciò per dire che questo disco non lo colloco in una linea del tempo, ma piuttosto in un gesto di amore.

Oltre a Montgomery quali sono i tuoi più importanti riferimenti musicali?

Sicuramente molti strumentisti a fiato, perlopiù sassofonisti come: John Colltrane, Ornette Coleman, Joe Henderson, Shabaka Hutchings, Archie Sheep, Albert Ayler, Charles Lloyd e tanti altri. Attualmente però, sto ascoltando parecchia musica indiana tanto che ho contattato un liutaio a Calcutta e mi sono fatto costruire un sitar. Ora sto studiando questo strumento, non con la pretesa di diventare un concertista di musica indiana, ma per cercare di riportare parte di quel mondo nel mio… sia dal punto di vista prettamente strumentale che compositivo.

Quanto ti senti legato alla figura di Wes Montgomery?

Moltissimo. Come detto prima, Wes è stato talmente tanto presente in casa mia che mi sembra quasi di averlo conosciuto di persona. A volte scherzando con mio padre lo chiamo zio Wes.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Fortunatamente abbiamo dei concerti in programma. Mentre per quanto riguarda un nuovo disco al momento siamo indecisi sul fatto di portare avanti un secondo volume tributo a Wes o cimentarci su brani inediti in stile.

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Alberto Forino e il disco d’esordio Tiny Toys: “Spazio alla libertà e all’improvvisazione”

Pubblicato dall’etichetta GleAM Records i Tiny Toys è il primo album da leader del pianista e compositore italiano Alberto Forino che vede la partecipazione Giulio Corini al contrabbasso e Filippo Sala alla batteria. Una formazione all’apparenza convenzionale che tuttavia con inventiva, spirito di ricerca e libertà espressiva cerca nuove forme di interazione nel piano trio dando largo spazio all’improvvisazione. Ecco il racconto del leader di questo progetto.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Tiny Toys è una raccolta di nove brani scritti nel corso di diversi anni con l’intenzione di sperimentare e giocare con alcuni aspetti dell’improvvisazione. Nella composizione del materiale il principio guida è stato quello di provare ad individuare qualcosa che potesse orientare l’improvvisazione libera senza imbrigliarla in un rigido schema precostituito ma che ne potesse comunque organizzare lo sviluppo e la sonorità. Dopo i primi bozzetti scritti intorno al 2012-2013 si consolidò l’idea dell’uso dell’improvvisazione da diverse angolazioni (modale, melodica, armonica, su insiemi di note...) in un contesto compositivo alternativo alla griglia di accordi che desse una sonorità coerente e ripetibile.

In aggiunta, c’era la volontà che ogni brano avesse un’identità definita e riconoscibile pur lasciando ampi spazi all’invenzione estemporanea dei musicisti coinvolti e alle possibili evoluzioni esecuzione dopo esecuzione.

Raccontateci adesso la tua storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

L’idea del trio nasce dopo qualche prova dei primi abbozzi dei brani in varie formazioni: diversi duo, quartetto, quintetto. La formula del trio è risultata essere la più flessibile e pratica sia per motivi logistici ma soprattutto per ridurre al minimo le indicazioni e le parti preparate e lasciare così più spazio e libertà all’improvvisazione. Con Giulio Corini ci conosciamo da tempo. Era capitato di suonare in alcune occasioni meno strutturate, mentre con Filippo Sala non avevo mai suonato, anche se lo conoscevo come musicista per i suoi gruppi e le sue numerose collaborazioni.

Quando ho chiamato Giulio e Filippo ho proposto loro semplicemente di costituire un trio per dei brani che “avevo scritto”. Al momento non accennai nulla al tipo di sperimentazione e ricerca che immaginavo per il progetto. Dapprima abbiamo fatto una prova in duo, con pianoforte e contrabbasso, per verificare la fattibilità di alcuni incastri melodici e armonici. Subito dopo, già durante la prima prova in trio, abbiamo sentito che c’era un bell’equilibrio e una grande energia: non restava che lasciarla risuonare.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Forse un po’ tutte queste cose insieme: non avendo avuto troppe occasioni in precedenza per fissare la musica che facciamo è stato sicuramente un punto di arrivo importante. Al tempo stesso essendo un progetto in divenire è la fotografia di un istante, di come suonava la nostra musica nelle stanze del Monolith Studio in quei due giorni nel dicembre 2021. La gioia che ci ha dato e che ci dà ci spinge inevitabilmente anche a guardare avanti facendo così del disco un punto di partenza per nuovi orizzonti.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Dal punto di vista soprattutto compositivo ci sono molte figure alle quali sento di dover essere grato per la loro musica e per le loro idee che hanno poi ispirato in un modo o nell’altro la scrittura di questo lavoro. In ambito jazzistico tra i compositori storici sicuramente Thelonious Monk, Charles Mingus, Ornette Coleman, Lennie Tristano, Wayne Shorter, Miles Davis e Cecil Taylor. Tra i contemporanei Franco D’Andrea, Stefano Battaglia (con i quali ho avuto l’onore di studiare) e Tim Berne.
Una forte influenza inoltre arriva anche da alcuni autori del mondo della musica classica come Satie, Debussy, Webern e Ligeti. A questi nomi vorrei però aggiungere i concerti e i dischi di tantissimi colleghi e amici che ho la fortuna di frequentare e che sono di inesauribile esempio e stimolo.

Come vedi il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Nell’immediato vogliamo vedere come i brani evolveranno, muteranno e prenderanno una direzione o l’altra nel corso dei live con la maturazione del nostro suono e dell’interplay collettivo. Oltre a questo nel cassetto sono rimasti, e sono arrivati nel frattempo, altri bozzetti e altre idee per nuove composizioni con le quali vorremmo presto confrontarci.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Questo inverno ci saranno alcune date di presentazione del disco,  durante le quali proporremo il repertorio con qualche nuovo inserimento. Dopodiché comincia ad aleggiare l’idea di una nuova registrazione anche con l’ipotesi di un allargamento dell’organico o la presenza di un eventuale ospite. Un passo dopo l’altro vedremo dove ci porteranno questi giocattolini.

 

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IFA Quintet: “Una ricerca incentrata sul groove, la melodia e l’improvvisazione”

È uscito per l’etichetta Emme Record Label il disco d’esordio del quintetto IFA dal titolo omonimo. Un progetto raffinato, dal grande senso melodico che si esprime attraverso il linguaggio universale della musica, cercando di non chiuderla nelle barriere degli stili o dei generi. La band, che si è formata dopo il percorso di studi nella Siena Jazz University, è composta da Francesco Assini alla tromba, Matteo Fagioli al sax, Michele De Lilla al piano, Fabio Angeli al basso e da Giuseppe Salime alla batteria. Ecco il racconto di questa nuova avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

IFA è un disco strumentale che è stato registrato nel settembre 2022. In esso troviamo composizioni originali dove spicca una ricerca incentrata principalmente sul groove, la melodia e l’improvvisazione, con alla base un’impronta prettamente jazzistica. Il disco si apre con Pop Song, scritta da Michele de Lilla che ha un andamento cadenzato ed è senza dubbio quella che più si avvicina a una forma “canzone” grazie a una melodia diretta e immediata molto riconoscibile. Floating on the surface, di Francesco Assini, rappresenta invece un omaggio alla spensieratezza ed è caratterizzato all’inizio da un suono quasi etereo dove i fiati fraseggiano alla perfezione con grande lirismo. In un secondo momento la dinamica diventa più sostenuta e subentra un pianoforte dall’andamento più cadenzato che poi lascia nuovamente la parola alla tromba, al sax e anche al basso nell’estro improvvisativo. Possibilities, sempre di Assini, è un brano dal carattere più sinuoso e introspettivo che descrive in musica le scelte che si possono prendere nella vita.  Holding you at distance è scritto a quattro mani con la prima parte che porta la firma di Fabio Angeli, caratterizzata da un tema limpido e diretto, mentre la seconda, più introspettiva e contemplativa, è stata composta da Michele de Lilla. Prayer è invece una composizione dai tratti più malinconica, quasi onirica e in certe fasi anche minimale che mantiene sempre un grande senso melodico, caratteristica peculiare della band. Questa breve descrizione è un incipit, il più possibile oggettivo, per consigliarvi all’ascolto del disco, così da sviluppare delle impressioni personali e soggettive da ascoltatore.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il progetto nasce nelle aule della Siena Jazz University dalle ceneri di diversi progetti e gruppi che non sono stati longevi, ma necessari per capire a fondo quale potesse essere la formazione con la quale poter esprimere la nostra musica al meglio. Nel 2020 IFA nasce in qualità di trio con pianoforte, basso e batteria. Ad inizio 2022 il trio sente la necessità di solisti chiamando Matteo Fagioli al sax contralto e successivamente Francesco Assini alla tromba. Con questa formazione a settembre dello stesso anno registra il disco. Il progetto, dopo la registrazione, si sta piano piano discostando dalle sonorità acustiche, ad esempio viene utilizzato il Rhodes al posto del pianoforte. I brani che stiamo proponendo nei nostri live hanno sonorità legate a neo-soul, hip hop

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

Questo lavoro è stato sicuramente un punto di partenza nato dal bisogno di fare un progetto il più longevo e serio possibile. L’atto di registrare un lavoro discografico, in virtù di musicisti, rappresenta la serietà, la dedizione e l’ amore in quello che facciamo. Paragonerei questo lavoro più che a una fotografia a un dipinto. Come un pittore il musicista, soprattutto  in giovane età, tende a evolversi continuamente quindi il disco come il dipinto mette in luce oltre alle abilità tecniche anche i propri sentimenti e quello che si prova in quel preciso istante. La bellezza della musica presente in questo progetto è che si rinnova ogni qualvolta che viene eseguita, che sia alle prove o in una situazione di live session. Ciò può scaturire un continuo sviluppo degli stessi brani all’interno del disco.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Il futuro è sempre un'incognita; il nostro progetto ha sempre subìto una continua evoluzione: è nato con la formazione in trio e si è  allargata in seguito a quintetto, con l'aggiunta dei fiati che hanno cambiato  nettamente il suono del gruppo. Ancora adesso quando riascoltiamo il disco, a distanza quasi di un anno dalla data delle registrazioni, notiamo differenze nel modo di suonare sia individualmente che come gruppo. Ognuno ha la propria vita, il proprio carattere e il proprio modo di esprimersi, sia nella musica che nella vita quotidiana; ma soprattutto ognuno di noi ha la propria storia da raccontare e lo fa attraverso la musica. E il risultato  che viene fuori è sempre una sorpresa, piacevole o meno. Quindi preferiamo non dare troppo peso ad una futura evoluzione del progetto, ma esprimere al meglio noi stessi nell'immediato presente.

 

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InControVoce, uno duo che sperimenta la creatività su un materiale preesistente

 

E’ uscito per l’etichetta Filibusta Records il primo album del duo del InControVoce, dal titolo omonimo. In questo caso è l’idea che ha dato forma al progetto di questo duo composto da Gloria Trapani e Alessandro Del Signore. Tutto nasce dalla volontà di esplorare l’affascinante dialogo che si può sperimentare con questa formazione e dal desiderio di fondere diversi linguaggi sonori in un viaggio musicale ricco di sfumature. Ecco il racconto di questa avventura attraverso le parole dei protagonisti.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

GLORIA: Il disco è uscito a giugno per l’etichetta romana Filibusta Records e porta il nome del nostro progetto InControVoce, un duo formato da me alla voce e Alessandro Del Signore al contrabbasso e basso elettrico. Sia io che Ale amiamo molto l’aspetto creativo della musica e se in altri dischi o progetti abbiamo sperimentato una creatività legata alla scrittura e all’arrangiamento di brani nostri originali questa volta avevamo entrambi il desiderio di rapportarci con un materiale preesistente e sperimentare una altrettanto affascinante creatività che abbiamo sicuramente praticato nell’attività live ma poco nei lavori in studio. Così in questo disco troverete 8 brani meravigliosi di diversi compositori e autori come Caetano Veloso ed Egberto Gismonti, di George Gershwin e di Thelonious Monk, di Charles Mingus e Joni Mitchell, di Michel Jackson e Bob Marley nella scelta dei quali ci siamo lasciati guidare dalla bellezza e dalla poesia che ci comunicavano, sia della musica che dei testi.

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

GLORIA: Il progetto è nato circa 6 anni fa anche se con Alessandro siamo legati affettivamente e musicalmente da tantissimo tempo e nel corso di questi più volte ci è capitato di suonare in duo. La pandemia e i mesi di lockdown ci hanno però spinto a lavorare un po' più a fondo sulla musica e sulla nostra idea di progettualità insieme; inoltre nel 2021 ho dedicato la mia tesi di biennio in Conservatorio proprio al Duo, e questo ci ha permesso ulteriormente di trovare una nostra identità musicale grazie allo studio e alla ricerca sia individuali che d’insieme, ed è stato un lavoro molto stimolante per entrambi, perché il Duo è una formazione molto affascinante, se da un lato ti da maggiori responsabilità perché è un gioco a due, dall’altra ti apre strade espressive e di dialogo entusiasmanti e inaspettate. Dobbiamo ringraziare davvero tanto una persona molto speciale per noi che è Susanna Stivali, che ci ha incoraggiati e guidati nell’approfondire il progetto proprio durante il lockdown suggerendoci una direzione che probabilmente è stata per noi l’evoluzione più importante: sviluppare un approccio al dialogo contrappuntistico tra le nostre due voci e di pensare anche a momenti in cui uscire dai nostri ruoli canonici (di accompagnamento del basso ed espositivo tematico della voce).

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?

GLORIA: Sicuramente per noi rappresenta tutte queste cose, perché indubbiamente un disco è la fotografia di un momento ben preciso del percorso sia del musicista singolarmente ma anche del progetto; ed è sicuramente il punto di arrivo di un percorso sia musicale fatto di ricerca, studio, prove, concerti, ma anche umano e di vita, quindi è una tappa importante che inevitabilmente segna anche un nuovo inizio. La Musica per noi rappresenta un modo di vivere, una ricerca costante, le strade che abbiamo percorso ci hanno portato ad essere ciò che siamo in questo momento ma non si smette mai di “imparare”, di cercare il proprio suono e anche il proprio ruolo, il proprio posto  in relazione agli altri nello spazio musicale, è una ricerca bellissima, è come  nella vita, si lavora su se stessi ma anche in relazione agli altri, la Musica quando la ami profondamente ispira la tua vita così come la vita ispira la musica che fai.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

ALESSANDRO: Sicuramente le nostre influenze e i nostri riferimenti musicali sono molteplici perché sia io che Gloria amiamo la musica a 360 gradi, dal jazz alla musica classica dal rock al cantautorato, dalla musica brasiliana al soul, e in qualche modo questo si può dedurre sia dalla scelta dei compositori e dei brani presenti nel disco che dagli arrangiamenti. Per questo disco in particolare oltre a ciò che si può evincere dalla scelta dei compositori altrettanti input importanti forse li abbiamo avuti da alcuni concerti a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere, l’intimità e la magia di Caetano Veloso in solo al teatro Sistina, la ricerca e la raffinatezza della musica, degli arrangiamenti e del sound di Paolo Conte all’Auditorium Parco della Musica, il Jazz esplosivo, coinvolgente e carismatico di Brandford Marsalis, la ricerca, il pensiero musicale, il tocco e la sintesi bellissima di blues, classicismo e jazz di Bred Meldau in solo…e potremmo continuare all’infinito.

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Sicuramente il desiderio è di continuare su questa strada magari provando anche a scrivere musica originale per questo progetto. Vediamo dove ci porterà la musica…

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

ALESSANDRO: Dopo i due concerti di presentazione del disco che abbiamo fatto nel mese di giugno e un concerto tenuto a Fondi qualche giorno fa stiamo lavorando ad alcune date autunnali, sia a Roma che fuori, un po' in giro per l’Italia. Le pubblicheremo e pubblicizzeremo al più presto quindi invitiamo tutti i lettori interessati ai nostri concerti a seguire le nostre pagine e profili sia facebook che instagram. Nel frattempo quest’estate invece saremo impegnati in vari concerti sia io che Gloria con diversi progetti di cui facciamo parte.

GLORIA: Ringraziamo Jazz Agenda per questa bella occasione e auguriamo a tutti i lettori una splendida estate piena di musica e di jazz e chissà che non ci si possa vedere in giro magari a qualche concerto, noi ce lo auguriamo.

 

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Cesare Ferro racconta Wergild: un concept album che descrive la vita di un soldato

Pubblicato dall’etichetta Emme Record Label Wergild è il disco d’esordio del bassista Cesare Ferro che unisce il linguaggio del jazz con il rock, mediando le chitarre distorte a suoni dai tratti contemporanei. Si tratta di un concept album che attraverso la musica descrive le fasi della vita di un soldato che ha visto la partecipazione di Federico Negri alla batteria, Luca Scardovelli alla chitarra e Riccardo Barba al pianoforte.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Wergild è un concept album sulla guerra che attraverso le composizioni descrittiviste racconta il lungo e atroce viaggio di un soldato. Le contaminazioni presenti nel disco permettono di dipingere diversi scenari: il viaggio verso il fronte, il campo di battaglia, i ricordi malinconici degli affetti perduti e l’epilogo della morte

Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

Il disco è una raccolta di brani scritti in diversi anni e l’idea di racchiuderli in questo prodotto discografico è nata mentre ero a Barcellona durante la mia mobilità Erasmus. In quel periodo infatti ho iniziato ad approfondire la storia del cinema e sono rimasto piacevolmente colpito dal ruolo che recita la musica all’interno della pellicola. Pertanto ho deciso di immaginare una storia e raccontarla attraverso queste composizioni seguendo in maniera coerente il pathos delle diverse scene proprio come in un film.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Per me questo concept album è un punto di partenza che mi stimola ad essere ancora più creativo e alimenta in me il desiderio di poter lavorare con il mondo del teatro o del cinema in futuro.

Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Le contaminazioni in questo progetto sono fondamentali come lo sono i diversi colori per un pittore che vuole dipingere un quadro. Ho sempre ascoltato e suonato molti generi musicali differenti tra loro e questo mi ha permesso durante il processo creativo di esprimermi al meglio. Quindi nella mia musica oltre al jazz c’è spazio per altri generi. Musicisti come Chuck Schuldiner, Ennio Morricone, Jaco Pastorius, Jeff Buckley e Pat Metheny sono sicuramente dei punti di riferimento.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?

Come dicevo prima mi auguro di iniziare a collaborare con il mondo del cinema e del teatro affinché il messaggio della mia musica possa arrivare in maniera più fruibile e diretto per tutti.

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

Al momento ci godiamo il nostro Wergild promuovendolo con un po’ di concerti in giro per lo stivale. Mentre per quanto riguarda il futuro visto che mi piace sperimentare scriverò della musica nuova completamente diversa da questa quindi seguitemi per rimanere aggiornati!

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