Jazz Agenda

Francesco Cavestri presenta il disco Early 17 alla Casa del Jazz

Sabato 29 aprile il pianista Francesco Cavestri presenterà alla Casa del Jazz di Roma il suo nuovo disco intitolato Early 17 accompagnato dal bassista Riccardo Oliva e dal batterista Joe Allotta. Il repertorio del concerto si muoverà su diverse atmosfere musicali: dalla presentazione di alcuni brani originali di Francesco Cavestri contenuti nel suo album ad altri appartenenti alla scena hip-hop, new-soul e jazz degli ultimi anni a cui appartengono anche gli altri due musicisti, fino a reinterpretazioni e tributi a giganti come Robert Glasper o John Coltrane, in una continua ricerca dell’innovazione e di un sound all’avanguardia.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco che presenterai alla Casa del Jazz il 29 aprile. Vuoi raccontare cosa suonerai in questo concerto e descriverci brevemente anche il tuo progetto?

Sono molto contento di parlare del progetto che presenterò alla Casa del Jazz, uno dei luoghi simbolo del jazz rivolto ai giovani - e non solo -  un luogo unico in Europa,  dove il 29 aprile porterò il mio album d’esordio, uscito a marzo 2022 e dal titolo “Early 17” (registrato e ideato quando avevo 17 anni) e che è già stato presentato in diverse città con successo di pubblico. Il jazz è il fulcro intorno a cui l’intero album è costruito, anche se si nutre di influenze derivanti da diversi generi, con citazioni al mondo dell’hip hop ed elementi di musica elettronica.  I featuring del grande trombettista Fabrizio Bosso e della cantante Silvia Donati contribuiscono a colorare l’album con sonorità molto varie tra loro, oltre che aggiungere l’immenso talento ed esperienza che questi artisti possiedono, e che generosamente hanno messo a disposizione di un progetto giovane.

A proposito di giovani, il 28 aprile alle 11.30 del mattino sarò sempre alla Casa del Jazz per presentare agli studenti una lezione-concerto dal titolo “Jazz / hip hop – due generi fratelli” in collaborazione con l’associazione Il Jazz Va A Scuola e con diverse scuole di Roma. Alcuni ragazzi che parteciperanno al workshop saranno anche premiati con dei biglietti omaggio per il concerto serale del 29 aprile, in quanto entrambi gli eventi rientrano all’interno dell’International Jazz Day, ricorrenza che si celebra il 30 aprile e che è stata istituita dall’Unesco.

Il mio progetto in questo modo ha l’obiettivo di avvicinare i più giovani non solo all’aspetto didattico e divulgativo di questa musica, ma di portarli ad assistere alla vera essenza del jazz, ovvero la performance live, durante la quale si vive l’interazione tra i musicisti e l’emozione che solo il concerto dal vivo può veicolare.

In alcune recenti interviste avevi espresso il concetto che il jazz è una musica senza barriere che non si ferma mai. Quanto sono importanti le contaminazioni?

Come ha detto Paolo Fresu al termine del mio concerto per il Bologna Jazz Festival, “le contaminazioni tra jazz, hip hop ed elettronica che propone Francesco Cavestri sono fondamentali, perché, mediate da un giovane come lui, raccontano come il jazz sia una musica per tutti, e soprattutto per i giovani.” Il jazz è la musica meticcia per eccellenza, fin dalle sue origini. È quella musica che, attraverso l’improvvisazione, ricerca continuamente soluzioni innovative e si lega ai linguaggi che man mano si sviluppano nel tempo, com’è stato per l’hip hop, il rap e com’è oggi per l’elettronica.

Per queste ragioni, la musica che propongo è un connubio di tutte le ispirazioni e le contaminazioni che vivo ogni giorno: ecco perché nei miei concerti propongo un viaggio che supera le distinzioni di genere, eseguendo, ad esempio, una versione di Naima di John Coltrane legata a un brano dei Radiohead e a uno di Ennio Morricone, per dimostrare che la musica è universale e che non esistono generi più complessi o elitari di altri. In fondo, come dice Quincy Jones, qualsiasi musica è formata dalle stesse 12 note.

Sei recentemente tornato da un’esperienza live negli Stati Uniti. Ci vuoi raccontare che aria si respira da quelle parti?

Gli Stati Uniti sono un luogo di apprendimento e di espressione musicale come nessun altro al mondo, soprattutto per la musica che propongo io. Lì è nato tutto quello che racconto e che suono. Grandissimi artisti americani come Herbie Hancock o Miles Davis hanno sempre inteso il jazz come musica da contaminare e che a sua volta contamina, e questo li ha portati a creare progetti innovativi da cui ancora oggi moltissimi musicisti, compreso io, attingono.

La mia esperienza di studio al Berklee College of Music di Boston, dove sono recentemente stato per presentare il mio disco al Wally’s Jazz Club di Boston insieme a fantastici musicisti americani con cui avevo già organizzato dei concerti in Italia la scorsa estate, mi ha aiutato a focalizzare ancora meglio questa missione: ovvero quella di far conoscere ai giovani della mia generazione il jazz tramite sonorità e riferimenti a loro noti, come ad esempio artisti come i Radiohead o Kendrick Lamar.

Sappiamo che i musicisti italiani sono molto apprezzati all’estero e anche dagli americani. Sei d’accordo con questo pensiero? Se sì secondo te per quale ragione?

È vero, è una cosa che ho constatato anche io nei miei periodi di permanenza negli USA. Credo che questo abbia a che fare principalmente con due aspetti: da un lato c’è la nostra padronanza tecnica ed espressiva della musica: noi siamo figli di grandi musicisti europei che hanno fondato le basi tecniche e teoriche della maggior parte degli strumenti (penso ai metodi per pianoforte del francese Hanon o al contrappunto Bachiano di epoca barocca), e tutte le indicazioni espressive sono ancora oggi formulate ovunque in italiano (fortissimo, pianissimo, staccato, legato, ecc…).

Il secondo aspetto è di carattere melodico, e riguarda più nello specifico l’Italia: il nostro paese ha una tradizione melodica che il mondo intero invidia, e si tramanda dal rinascimento di Monteverdi, passando per l’opera ottocentesca di Bellini o Rossini, fino ad arrivare alle composizioni di Ennio Morricone. Il filo che lega questi artisti geniali è lo straordinario linguaggio melodico, caratterizzato da un’eleganza di matrice squisitamente italiana, che contribuisce a rendere il nostro suono celebre e amato in tutto il mondo.

Noi siamo figli di questa tradizione e anche nella mia musica e nelle mie composizioni, seppur ispirate in maniera massiccia alla tradizione black americana, si sentono i riferimenti di questi grandi nomi della musica italiana, che ho avuto modo di conoscere e studiare in conservatorio al dipartimento di Jazz, dove sto per diplomarmi, e, ancora prima, durante i miei anni di formazione come pianista classico. 

Raccontaci adesso la storia di questo disco. Come è nato e come si è evoluto nel tempo…

“Early 17” nasce durante i miei 17 anni, in quell’età che sottende voglia di creare e di sviluppare un proprio linguaggio artistico. Durante la pandemia avevo scritto qualche brano: il tutto è cominciato con quello che poi ho chiamato “FINALLY GOT SOMETHING”   (“finalmente ho trovato qualcosa”), che infatti ricopre la posizione centrale del disco in quanto è stato il brano da cui poi sono scaturiti gli altri.

Il disco è formato da 9 brani originali ed è suddiviso in due parti: i primi quattro brani, tutti composti da me, racchiudono al loro interno citazioni ad alcuni artisti che più ho amato e amo tutt’ora (“Salute to Dilla” è un tributo a J Dilla, “No One Like You” a Robert Glasper, “Living the Journey” cita le armonie di “Maiden Voyage” di Herbie Hancock, “In the Way of Silence” si chiude con una versione in solo piano di “In a Silent Way” di Miles Davis, mentre “Figaro” è una dedica al rapper MF Doom, scomparso proprio nei giorni in cui registravo l’album). L’intermezzo, come detto, è “FINALLY GOT SOMETHING”. Gli ultimi quattro brani, anch’essi originali, non contengono più citazioni, e lasciano spazio ad atmosfere più meditative e ad incursioni elettroniche più incisive (come nel caso di “Daydreaming” o “STREAMS”). È come se io prima di tutto, in apertura al mio progetto di debutto, volessi affiancare le mie composizioni ad alcune citazioni degli artisti che più ho studiato e amo, come per ringraziarli dell’influsso che hanno avuto su di me.

Per quanto riguarda i tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?

Sì, quelli che ho citato nella risposta precedente. A parte gli scherzi, a quelli già menzionati aggiungo altri nomi che hanno avuto un grande impatto sul materiale su cui sto lavorando ormai da un anno a questa parte e che pubblicherò a breve. Da un lato c’è l’approfondimento della musica elettronica, studiando artisti come Kaytranada  o Floating Points (che hanno spesso legato la loro musica al jazz, il primo producendo un intero ep con Robert Glasper e il secondo scrivendo una suite con Pharoah Sanders e la London Symphony Orchestra), o ancora Four Tet, Tyler the Creator, Jamie XX.  Tutti nomi di straordinari artisti che fanno della contaminazione tra generi un loro marchio di fabbrica.

Un’altra corrente che ho seguito con attenzione è quella della scrittura di colonne sonore, studiando a fondo artisti come Ryuichi Sakamoto o Ennio Morricone. Questa mia passione è stata consacrata di recente, quando ho avuto l’occasione di registrare una colonna sonora per un podcast di produzione Rai che uscirà a fine maggio, realizzata dal giornalista e regista Filippo Vendemmiati. È stata una bellissima esperienza che spero di ripetere.

Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Per ora mi sto concentrando a far conoscere il mio progetto portando in giro il mio album “Early 17” al fianco dei musicisti Riccardo Oliva al basso e Joe Allotta alla batteria, proponendo talvolta qualche brano nuovo ancora inedito, come avverrà alla Casa del Jazz, dove presenterò una mia nuova composizione prodotta intorno a un monologo tratto da “La Dolce Vita” di Federico Fellini. Questo brano sarà accompagnato da materiale grafico appositamente preparato per l’evento romano… d’altronde, quale miglior occasione se non Roma per presentare un brano dedicato al capolavoro felliniano?

In futuro ho in programma di procedere con questo connubio di musica e immagini, scrivendo altre colonne sonore e unendo le mie composizioni ad alcuni dei capolavori del cinema italiano che più hanno affascinato.

Per il futuro invece c’è qualche nuova registrazione in cantiere?

Oltre ai brani che ho già registrato e che conto di pubblicare presto, tra cui uno realizzato in collaborazione con Cleon Edwards, storico batterista di Erykah Badu, ce n’è uno che prevede la collaborazione del grande Paolo Fresu, che ha ascoltato una mia composizione e gli è piaciuta a tal punto che ha accettato di contribuire con la sua tromba. Non vedo l’ora di farvi sentire cosa stiamo preparando!

 

 

 

 

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