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Emanuele Sartoris racconta I Nuovi Studi: "l'improvvisazione all'interno di uno studio classico"

Pubblicato dall’etichetta pugliese Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali, I Nuovi Studi è un disco che porta la firma di Emanuele Sartoris. Un progetto in cui il pianista torinese inserisce il concetto di improvvisazione in uno studio tecnico pianistico. Gli studi sono 5 e aprono il disco, a cui si aggiungono 3 studi classici originali suonati così come sono stati scritti, uno di Chopin, uno di Listz e uno di Skrjabin. Questi 3 studi sono preceduti ognuno da un preludio completamente improvvisato dove raccolgo qualche impressione dello studio che verrà . L'ultimo brano è l'unico dichiaratamente Jazz. Un pezzo di Bill Evans dove si improvvisa in tutte le tonalità alternandosi tra 3/4 e 4/4. Emanuele Sartoris ci ha raccontato nel dettaglio questo progetto:

"Definirei “I Nuovi Studi” un lavoro discografico di confine in cui per la prima volta nella storia della letteratura pianistica si inserisce il concetto di improvvisazione all’interno di uno Studio tecnico. Il disco si apre con 5 studi da me congeniati frutto di un personale peregrinare sul pianoforte. una vera e propria ricerca, un esplorare i miei stessi limiti, sfruttando l’arma dell’improvvisazione con l'unica regola di utilizzarla ogni qual volta con differenti e caratteristici elementi tecnici. Di quì il vero elemento che rende "nuovi" questi studi, il tentativo di renderli musicali riunendoli in brani in grado di tentare l'impervia doppia strada della finalità tecnica sottomessa alla bellezza espressiva. Il disco procede con tre preludi che anticipano l’esecuzione di altrettanti studi classici di grandi autori per me focali e determinanti nella storia del pianoforte così come lo conosciamo e studiamo oggi, Chopin Listz e Skrjabin. Il preludio diventa un pretesto per improvvisare in maniera estemporanea ed assaporare le tecniche ed armonie dello studio successivo. L’album si chiude con il brano di Bill Evans Comrade Conrad, una composizione che per sua forma e natura a mio avviso rientra esattamente nel concetto di Studio così come lo intendevano i grandi autori delle scuole pianistiche del passato proponendo la possibilità di improvvisare in tutte le tonalità con le alternanze ritmiche più comuni nel Jazz.

Emanuele Sartoris ci racconta anche il percorso che lo ha portato alla nascita di questo disco:

"Le grandi opere di Studi pianistici di Liszt, Skrjabin ed in particolar modo Chopin sono stati per me la porta d'ingresso verso la musica classica. Sono sempre stato profondamente attratto, in qualità di improvvisatore, dall'abilità tecnica soggiogata alla bellezza espressiva ed esecutiva. Ritengo tuttavia che la tecnica non sia una mera dimostrazione di abilità ma una possibilità che sottomessa alla bellezza può arricchire le tinte espressive, specie nel creare durante l’atto improvvisativo quel rapporto di istantaneità tra pensiero e gesto che solo lo studio quotidiano possono garantire. Gli studi pianistici dei grandi autori spostano l'attenzione sui singoli problemi tecnici, offrendo la possibilità, in maniera pedagogica di apprendere anche attraverso l'assimilazione dello studio stesso. Spesso infatti l'atto di imparare il brano e di lavorarci contiene già in seno la scintilla adatta al superamento del problema tecnico. Tuttavia per un musicista abituato alla creazione estemporanea, come un Jazzista o come tutti i grandi pianisti classici del passato negli studi manca sempre un elemento, fresco, prezioso e vitale: L'improvvisazione. Da qui il cammino che mi ha condotto alla ricerca e quindi la nascita de “I Nuovi Studi”.

Un contributo o uno stimolo a perseverare nella ricerca? Emanuele Sartoris ci spiega anche cosa rappresenta per lui il disco:

"Di certo questi modesti studi non vogliono essere un paragone con la grandezza degli inarrivabili Chopin, Liszt e Skrjabin, cercano di mostrare anzi il mio totale esserne affascinato. A maggior ragione la mia offerta ha voluto essere più ricca e sincera incastonando nel disco uno studio per ognuno di questi grandi autori, preceduto da un preludio estemporaneo. Non bisogna infatti dimenticare, come spesso la storia vuol farci credere, che questi grandi, prima ancora di essere stati pianisti e compositori, sono stati formidabili improvvisatori. L'omaggio sposta, altresì, i riflettori su una questione culturale ancora troppo sottovalutata: spesso i musicisti classici, e non solo, si barricano ancora su un falso Parnaso in cui sembra di vederli immaginare per se stessi un futuro inesistente, già scardinato in passato dagli autori stessi tanto venerati ed idealizzati. La ricerca sul proprio strumento è tutt'altro che terminata con i grandi. Va spronata con ogni mezzo, e spero che questi nuovi studi possano essere un piccolo e sincero contributo adatto a ricordare sia ai pianisti cosiddetti "Jazz" che "Classici" l'idea per cui suoniamo storia viva ed in continua evoluzione, non riposta a prender polvere in qualche teca."

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