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I Bemolli sono Blu secondo disco degli ABQuartet: “Un lavoro decennale di sperimentazione”

Un disco che unisce free jazz, la musica jungle, il rock con uno stile innovativo e contemporaneo. Si presenta così I Bemolli sono Blu, secondo lavoro degli ABQuartet, formazione capitanata dal pianista Antonio Bonazzo. Questo progetto è stato registrato nel luglio del 2018 e si caratterizza per una accentuata ricerca melodica e per il fatto che sfugge a qualsiasi tipo di classificazione. Il leader della band ci ha parlato del disco e di come è nata questa avventura.

Per cominciare l'intervista parliamo subito del disco: abbiamo notato che in esso si fondono diversi linguaggi musicali che partono sicuramente dalla musica classica e che passano anche per il rock, il jazz e altri filoni: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

Il nostro stile è piuttosto difficile da definire e situare in una categoria musicale specifica, è una musica in cui gli echi di stili musicali differenti si mischiano, risultato di un lavoro di sperimentazione ormai decennale, in cui abbiamo preso sia dal passato che dalle direzioni più estreme del presente quello che ci serviva per sviluppare un diverso concetto di musica. Il risultato, la cui facilità di ascolto nasconde una difficoltà esecutiva non comune, si riassume in un impasto strumentale dalle timbriche insolite caratterizzato da ritmi irregolari e da sviluppi contrappuntistici delle linee melodiche. Come hai giustamente osservato le nostre influenze sono molto eterogenee, dalla musica antica al jazz, dalla contemporanea al metal ma il nostro comune denominatore è l'interesse per il jazz e soprattutto per l'improvvisazione radicale. 

Insomma, possiamo dire che la contaminazione è senza dubbio una delle vostre caratteristiche fondamentali?

Direi di sì anche perché qualunque linguaggio mi sta stretto.  Il linguaggio per noi è un mezzo non il fine stesso della musica. E, con le dovute cautele, qualunque linguaggio può essere calato in ambienti nuovi e trasfigurato per dare vita a uno stile diverso da ciò a cui siamo abituati senza mai strappare quel sottile collegamento con la tradizione che permette di renderlo comunque comprensibile.

In un periodo storico come il nostro, dove c’è tanta diversità e gli stili si fondono, secondo voi è importante aprire la strada alla contaminazione?

Penso che in questo periodo proprio in virtù di tutta la diversità di stili che convivono le contaminazioni tra generi siano la norma. Noi abbiamo semplicemente portato questo discorso alle estreme conseguenze muovendoci tra i generi musicali più disparati. Alla fine nella storia tutti gli stili musicali sono stati frutto di contaminazioni e noi stiamo trovando la nostra direzione in questa commistione di influenze.  

Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?

AB Quartet rappresenta il punto d’arrivo di un’idea di musica su cui ho cominciato a riflettere verso la fine degli anni ’90. Pensavo a un progetto in cui i musicisti sono parte attiva della composizione stessa e sono in grado di leggere e interpretare parti scritte ma anche di muoversi liberamente negli spazi sconfinati del free jazz e della musica aleatoria. Dopo tanti anni di sperimentazione con formazioni diverse, nel 2015 il gruppo ha trovato la sua line-up definitiva e nel 2016 è uscito il primo disco di AB Quartet “Outsiding”. Da allora il nostro sound si sta perfezionando e il nostro stile si sta adattando sempre meglio alle caratteristiche dei musicisti. Gradualmente la sperimentazione sta lasciando il posto ad una direzione musicale rodata e consapevole.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per il vostro progetto che sembra sempre in divenire cosa rappresenta?

Per noi questo disco è una fotografia del momento e mi rendo conto del fatto che il nostro stile sta cambiando ancora. Il nuovo progetto a cui stiamo lavorando in questo periodo in effetti è molto diverso da questo e altrettanto diverso dal nostro primo disco. Mi sembra di vedere una maturazione stilistica anche se essendo parte in causa il mio giudizio non può essere più di tanto imparziale.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali: nel concept del disco fate riferimento a Debussy: perché è fondamentale per voi questo musicista?

Debussy è stato uno dei miei punti di riferimento musicali quando ero giovane. Al di là di questo ci sono diversi motivi che hanno guidato la nostra scelta: la ricorrenza del centenario dalla morte è stato uno di questi ma da solo non sarebbe bastato. Molti aspetti della sua musica tra cui le scelte armoniche e le sonorità sono molto vicini al nostro stile e al nostro gusto. La sua rivoluzionaria concezione musicale improntata principalmente sulla ricerca armonica, sull’utilizzo di scale modali e di accordi dissonanti non risolti che porta ad un risultato all’ascolto non così distante dal jazz è stato per noi un punto di partenza importante anche perché il confronto con i grandi del passato è sempre un territorio insidioso.

 Ci sono anche altri artisti, noti o anche meno noti, che per voi rappresentano un punto di riferimento?

In generale ascoltiamo un po' di tutto. Tra le influenze più evidenti come gruppo c'è quella del free jazz, in particolare musicisti come Eric Dolphy o Cecil Taylor, ma anche certa musica elettronica e sicuramente il jazz contemporaneo tipo EST, Sclavis, Leszek Mozdzer e Gogo Penguin. 

Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?

Attualmente stiamo terminando un nuovo disco ispirato alla musica antica mentre per il futuro abbiamo in programma un lavoro in collaborazione con un progetto vocale. Da quello che vedo il nostro stile è in continua evoluzione e il gruppo ha acquisito una sempre maggior consapevolezza delle proprie specificità il che porterà sicuramente a qualche nuova direzione musicale. Sono anch’io molto curioso di vedere dove ci porterà la collaborazione con la voce. Lo scopriremo a breve!

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